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Radiopensieri

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Editore: Trasciatti

«Quando la trasmissione radiofonica Fahrenheit mi ha proposto di “scrivere una lettera” agli ascoltatori per una settimana, mi sono sentito attratto e spaventato: è la mia trasmissione preferita e, per chi scrive, è un’occasione straordinaria di raggiungere trecentomila lettori. Ci vogliono trentamila presentazioni di libri per raggiungere lo stesso risultato! Mi era stata data assoluta libertà di temi, ma avevo tre prescrizioni da rispettare: parlare per un tempo tra i tre e i quattro minuti, iniziare la lettera con “care ascoltatrici, cari ascoltatori”, e concluderla con i saluti. E così ho scritto e poi letto, dopo un paio di prove cronometro alla mano. Non credevo che in quattro minuti si potesse sviluppare ragionevolmente un tema, ma ho scoperto che i radiopensieri hanno un loro ritmo interno, non è lo scatto dei cento metri e neppure la maratona; credo che siano i quattrocento, a metà tra la velocità e il mezzofondo: la gara che gli atleti chiamano “il giro della morte”.» Così scrive Andrea Bocconi ed è così che è nato il presente volume, che raccoglie anche altri brani di questo singolare scrittore, psicoterapeuta, viaggiatore, schermitore veterano, acuto osservatore di sé e degli altri, amante dell’India, amico di Tiziano Terzani e allievo del fondatore della psicosintesi Roberto Assagioli. Ogni testo, anche se poco o per nulla narrativo, è accompagnato da un disegno di Nicoletta Calvagna, che a volte ne riassume il senso, a volte ne ingrandisce un particolare, e sempre si sposta un po’ più in là, oltre i margini della pagina scritta.

Andrea Bocconi (Lucca 1950) vive ad Arezzo. Tra i suoi libri ricordiamo: Viaggiare e non partire(Guanda 2002), La tartaruga di Gauguin (Guanda 2005), Di buon passo (Guanda 2007) e In viaggio con l’asino (Guanda 2009) scritto assieme a Claudio Visentin.

Nicoletta Calvagna (Catania 1977) vive a Bologna. Ha realizzato disegni per l’editore Travenbooks, per la rivista letteraria «L’accalappiacani» e per Sogni di libeccio di Alessandro Biagetti (I Libratti 2008).

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Radiopensieri

Ormai l’ho imparato, ogni volta che insegno o discuto, oppure come l’altra sera insegno e poi ceno insieme a Andrea Bocconi, devo essere pronto a riconoscere i frutti del nostro dialogo ininterrotto, che gli intervalli di una settimana rendono più concreto perché maturato nelle reciproche solitudini. È successo così, tornando da casa sua in bicicletta, poco dopo aver evitato di andare a sbattere contro un bidone dell’immondizia, che ho dato un nuovo senso alla prima lezione di scrittura autobiografica finita qualche ora prima.
Appena riavutomi dallo spavento, forse condizionato dal mio senso dell’equilibrio minato dalla stanchezza, mi è venuta questa frase: dopo una certa età, ci tocca sopravvivere alla nostra immagine che la vita piano piano ci gratta via di dosso. Come se a un certo punto si alzasse il velo sopra le apparenze e tutto di noi, a partire dal nostro corpo destinato a un lento disfacimento, prendesse a discostarsi dalla rassicurante proiezione su cui avevamo finora edificato personalità, carattere, aspirazioni: il nostro stesso modo di essere al mondo, e colti da un senso perturbante di spaesamento cominciassimo a non riconoscerci più del tutto.
La mia riflessione non è stata casuale, infatti l’ho subito associata a una considerazione di Milan Kundera che ho letto in classe ad alta voce e che Andrea, un uomo che non finisce mai di imparare, si è appuntato con scrupolo: «L’uomo esiste soltanto nella sua età concreta, tutto cambia con il passare degli anni. Comprendere l’altro significa comprendere l’età che sta attraversando».
Allora mi è stato chiaro dove volevo arrivare, soprattutto come il nesso tra le due frasi portasse a un concetto mobile di maturità. Una volta constatato e accettato il cambiamento, inteso come uno slittamento tra le nostre aspettative, potenzialità e doti che ruotano intorno all’immagine di noi stessi e i segnali contraddittori della realtà, la maturità diventa la capacità di riconoscere tale cambiamento in rapporto al momento che stiamo vivendo. Un hinc et nunc, un qui e ora, la consapevolezza dell’età che stiamo vivendo mentre la stiamo vivendo, che si sposta progressivamente con l’avanzare dell’età. Ma se da un certo punto di vista si invecchia, da un altro si diventa padroni di più profonde certezze. Certezze comunque effimere, se non ci si identifica nella loro costante evoluzione.
L’uomo maturo, in definitiva, è colui che conserva la perfetta padronanza del tempo (conosce l’età che sta vivendo) e dello spazio (si adegua di continuo al suo spostamento in avanti). L’uomo maturo è l’uomo che cammina, perché «quando si va a piedi il tempo ridiventa amico dello spazio». Lo afferma Andrea Bocconi in uno degli innumerevoli spunti – folgorazioni piazzate con tempismo al punto giusto, come gli ha insegnato per tutta la vita la sua grande passione, la scherma – disseminati in Radiopensieri. Lettere al microfono con 15 disegni di Nicoletta Calvagna (Trasciatti editore, pp. 120). Quando cammina, invece di guardarsi indietro da dove viene o lanciare lo sguardo verso dove è diretto, l’uomo maturo sofferma lo sguardo su dove si trova e si guarda intorno per valutare lo spazio che occupa rispetto all’universo perché, come ammoniva Dante, «A non guardare il cielo si fa peccato».


L’uomo maturo ha molte affinità con l’intelligenza rapinosa di Andrea Bocconi, un uomo che sa destreggiarsi in tutte le situazioni perché, al pari di quei ladri gentiluomini che sopravvivono solo al cinema, ha sempre in serbo la via d’uscita. Basti pensare a casa sua a Lucca, con la porticina segreta del giardino che dà su un vicolo laterale per un’eventuale fuga, o alla collocazione che sceglie ormai istintivamente quando si trova in mezzo agli altri: se lo guardi bene, hai la chiara sensazione che potrebbe scomparire da un momento all’altro. La stessa considerazione vale per il tempo, un concetto sempre quantificabile e parcellizzabile nella sua economia, di cui Andrea è attento sovrano. Nella sua conversazione sempre mirata a un obiettivo, ogni argomento – dal futile al drammatico, dal cazzeggio alle riflessioni esistenziali – è delimitato da un proprio tempo naturale, oltre il quale non è dato sconfinare.
Provando a utilizzare le coordinate spazio-temporali di Bocconi, cerco di dare un’idea della struttura di questo librino, dovuto all’intraprendenza editoriale di Alessandro Trasciatti, che ha proposto di raccogliere i cinque interventi di Andrea a «Fahrenheit», delle lettere al microfono della durata di tre minuti, lette in diretta, su argomenti scelti dall’autore: Ricordare, Rallentare, Combattere, Creare, Cercare. Intorno a questo nucleo omogeneo sono stati inseriti altri pezzi tematicamente affini: da I viaggi dello Spirito, dedicato all’India, il suo «luogo dell’anima» (perché l’anima non è ovunque, come del resto Dio: «se c’è, di certo viaggia») al toccante In memoria di un amico, Tiziano Terzani (solo alla morte di una persona «si realizza che posto occupava sulla scena della nostra vita»), dalle riflessioni più teoriche sulla Coppia ecologica e la crisi del maschio in Quo vadis vir? alle raffinate analisi sulla scherma e sulle analogie con la psicosintesi, la scuola del suo maestro Roberto Assagioli di cui è permeato tutto il suo pensiero umanistico e spirituale, passando attraverso un racconto apologo matematico-schermistico, una riflessione sulla chirurgia plastica e una breve distinzione tra sacro e profano: un’altra questione legata allo spazio (dentro/fuori dal tempio), ricordando come «i luoghi hanno una storia che diventa la loro peculiare atmosfera».
Tempo, misura, velocità sono le qualità richieste al bravo schermidore, con le quali utilizza al meglio la tecnica, quella tecnica che tutti devono prima apprendere per poi sbarazzarsene se e quando si possiede l’estro creativo, punto d’arrivo della crescita, tanto è vero che in greco kere è la radice comune dei verbi crescere e creare. Date queste premesse, si evince quanto la vita e la scrittura di Andrea Bocconi siano compenetrate con l’esercizio della scherma: scuola di vita, inquadrata in una serie di codici comportamentali miranti sempre al rispetto dell’avversario e al senso dell’onore, in cui la ripetizione dei gesti forgia la memoria del corpo e richiede – fatto tutt’altro che secondario – un rapporto ininterrotto con il maestro, a rimarcare non solo l’importanza, ma la persistenza della tradizione.
L’importanza dei maestri – accanto a Assagioli e Terzani compaiono per l’appunto anche i nomi meno noti di quelli di scherma – assume per Bocconi una forma di gratitudine, umiltà e costante attenzione (perché si può imparare qualcosa da tutti) che in un momento della vita si converte nella responsabilità e nel coraggio di diventare a propria volta maestro, allo scopo dichiarato di trasmettere il sapere ai giovani. Un fatto sempre più raro nella società contemporanea, incapace di perpetuare storie, di mantenere viva la memoria a distanza di due generazioni, e orfana di padri dotati di quella autorevolezza necessaria per far crescere i propri figli: «non trovare di fronte “nemico” e “maestro” significa non crescere».
L’importanza del combattimento, opposto ideologicamente alla guerra come distruzione indiscriminata del nemico, si configura come esaltazione delle doti naturali di aggressività insite nell’uomo, finalizzate a un obiettivo nobile («occorre lottare per ciò che riteniamo giusto»). Lo sport come ritualizzazione di questo combattimento naturale assurge così a metafora della vita. Attraverso la disciplina della scherma, Bocconi ricompone il suo universo di valori continuamente in gioco – e il gioco è un affare serio, quando è sottoposto a dalle regole –, mettendo sul tavolo il conflitto come esperienza di crescita nella maturata consapevolezza che ogni rottura ha bisogno di un terreno solido da cui partire per ricomporsi in una nuova identità. Solo combattendola, la tradizione ha la possibilità di rimanere in vita nella sua proficua adattabilità al cambiamento.
I disegni di Nicoletta Calcagna scandiscono i capitoletti del libro come una serie di evocazioni pensose: che siano figure derealizzanti o prive di senso di gravità e di prospettiva oppure duellanti in un gioco di lame, accostate al testo ci invitano a un’ulteriore riflessione, prima di andare avanti e fare finta che la vita non ci metterà alla prova. La scrittura di Bocconi è inscindibile dalla sua vita e insieme ricettiva nei confronti di tutto ciò che la circonda, ha bisogno di essere innescata da un fatto biografico per farsi soverchiare da accadimenti imprevisti: benché il caso rientri in un disegno più ampio, dotato di un senso di cui l’autore intravede sempre qualche sintomo. Procede per episodi – come brevi sorsate –, tenuti insieme da aneddoti e divagazioni sempre puntuali. Si presenta come testimonianza personale per rivelarsi un gentile insegnamento: gentile, perché privo dei crismi di qualsivoglia indottrinamento, al contrario, aperta alle soluzioni più imprevedibili, in ossequio a quel processo creativo orientato a «Cercare risposte sensate a domande assurde».
L’imbarazzo dovuto a un pudore che ci unisce in un’amicizia non ancora svelatasi del tutto mi riporta a un altro imbarazzo, quello che lo univa a Tiziano Terzani davanti alla comune avidità per una marionetta del teatro delle ombre, contrapposta alla naturalezza con cui discorrevano della malattia e dell’imminente morte di Terzani. In poche ma sentitissime pagine, con una partecipazione emotiva che forse sfugge al suo controllo, Andrea ricostruisce le tappe di un’amicizia in pochi passaggi, assecondando il volere dei luoghi e del destino, fino a immortalare il momento in cui sono diventati amici. Già, sarebbe bello raccontare le amicizie di una vita fotografandole nell’istante in cui sono cominciate. Ecco un libro che potrebbe scrivere Bocconi.
Ma l’immagine più compiuta di questo piccolo breviario bocconiano è affidata all’ex campione olimpico di scherma Krovoputskov, ormai grasso e impacciato, che si presenta comunque in pedana ai campionati dei veterani senza timore di essere ridicolizzato. Come mai non riesce a smettere? si domanda Bocconi. La risposta è il perfetto contrario delle parole di Agrado, trans in Tutto su mia madre: «Uno è tanto più autentico quanto più somiglia all’idea che ha di se stesso». Mi è arrivata quella sera, anche se invece di camminare barcollavo in bicicletta per le strade buie di Lucca: Krovoputskov è un uomo maturo proprio perché sa misurare la distanza che la vita ha messo tra chi è diventato e l’immagine che aveva di sé, permettendogli di trasformare il ridicolo nell’orgoglio di essere in sintonia con l’età che sta vivendo.

Sebastiano Mondadori

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