Sotto il faro di Punta Sophia c'è una grotta sulla spiaggia di sassi, ove una volta vivevano degli eremiti: per questo lì si trovano scritti di spiritualità, di meditazione, dalle diverse tradizioni sapienziali.
11-05-2020
Silvia Romano si è convertita. Noi non possiamo sapere quanto le circostanze della prigionia abbiano influenzato la decisione : scelta libera ? Sindrome di Stoccolma ? Non solo è assurdo esprimere giudizi senza sapere nulla, ma è anche profondamente ingiusto : è una scelta che riguarda lei, che lei ha valutato e magari cambierà o manterrà. Personalissima.
Non sappiamo, ma una selva di vigliacchi pensa di sapere, e la insulta, mostrando tre caratteristiche; essere incapaci di prendersi un momento di riflessione prima di giudicare; essere incapaci di rendersi conto che non spetta a nessuno giudicare le scelte di chiesto tipo; essere incapaci di gioire per la liberazione di una connazionale, avvelenati da un odio assoluto per tutto ciò che non rientra nel loro modo di vivere vedere il mondo. Passa subito in second’ordine che la ragazza sia una cooperante che si da fare per migliorare il mondo.
Forse sarebbe l’ora di ridiscutere questo diritto all’anonimato in rete. Chi insulta lo faccia a viso aperto, con nome e cognome. Quando una cretina insultò pesantemente la Boldrini, fu individuata. Queste persone che amano mettere alla gogna, si facciano vedere, corrano il rischio di essere contestati, di discutere in tribunale richieste di danni per diffamazione, se non peggio.
Ogni volta che leggiamo un articolo o cerchiamo un’auto siamo profilati, come si dice, sanno chi siamo e non possiamo più aprire un sito senza essere inondati di pubblicità mirate: sanno chi siamo, cosa ci piace, quanti soldi abbiamo, orientamento politico e sessuale, vizi e virtù La legge sulla privacy è una foglia di fico che non copre nulla ma produce burocrazia a iosa.
L’anomimo hater, un coglione che insulta nascosto da uno schermo, è la versione in rete di quel vigliacco egoista che mette nella cassetta delle lettere dell’infermiera una lettera anonima che la accusa di portare il virus nello stabile. Quando avrà bisogno di un’infermiera, capita a tutti noi, ci ripensi.
La donna ha reso pubblica la cosa. Immagino che quando incontra per le strade i condomini si chieda chi è il vile,
Hater, colui che odia, chiamiamoli odiante e l’inglese non lo nasconda : una brutta persona. In Anatomia della distruttività umana Eric Fromm analizza come l’incapacità di amare si traduca in una smania di potere distruttivo sugli altri. Il bullismo cibernetico fa molto male, talvolta perfino uccide ; l’istigazione al suicidio è un reato penale e va punita.
La domanda è : perché non ti firmi ? Non siamo in Cina o in Russia. Di cosa hai paura, odiante ?
22-01-2020
In Italia non lo conoscono in molti, anche se diversi libri sono stati pubblicati. Professore di psicologia ad Harvard, era stato cacciato con Thimoty Leary per le sue ricerche sugli allucinogeni come via all’espansione di coscienza. Era poi andato in India in cerca di verità, l’incontro col suo guru gli aveva fatto capire che non occorreva la chimica per crescere spiritualmente. Per decenni ha insegnato , un ponte tra la cultura psicologica occidentale e la tradizione del bhakti yoga: sempre con umorismo, sempre aperto sui suoi difetti, la sua profonda umanità, una straordinaria capacità di insegnare con tutto se stesso.
Quella sera del 1981 al Cenacolo a Firenze vennero a sentirlo con me tre studenti da Pistoia, Davide, Gabriella e Luigi, e io sapevo che offrivo a tre adolescenti un incontro speciale. Da anni volevo vederlo, dopo che Piero Ferrucci mi aveva portato Be here and now dagli USA, che aveva venduto un milione di copie, niente male per un libro sugli insegnamenti spirituali. L'ho riaperto poche settimane fa. La grande occasione venne a Pomaia, un ritiro con lui di dieci giorni all’Istituto Lama Tzongg Khapa. La sera raccontava storie del Ramayana a 160 adulti che diventavano bambini : ancora una, non vogliamo dormire! Humour, totale assenza di prosopopea, onestà: un cercatore spirituale che ti raccontava il suo viaggio. E ti faceva capire che eravamo tutti in viaggio. Nel mio studio c'è una foto del colloquio con lui, nei giardini di Pomaia: sono di spalle, un po' curvo, lui sorride e in quei 10 minuti mi parla della psicosintesi e dei miei dubbi esistenziali: le risposte risuonano in me ancora, 32 anni dopo. E' accanto alla foto di Assagioli, mi fa compagnia nellle ore di psicoterapia.. L'anno dopo in Francia a seguirlo di nuovo, con Patrizia e Massimo Rosselli. Quanto amore. A Pomaia ho incontrato Margo Russell, che ha fondato la Psykosintes Akademin di Stoccolma, dove da tanti anni faccio vedere agli allievi Fierce grace, il video che racconta il suo viaggio da professore di Harvard alla vecchiaia con l'ictus, sempre impegnato a cercare il senso e l'insegnamento della vita. Leggete i suoi libri, ne vale la pena.Grazie Ram Dass, sono certo che stai ridendo col tuo amato guru, Neem Karoly Baba.
28-12-2019
Il solstizio d’inverno, la Vigilia, il Natale, Capodanno, la Befana. Non è facile, per molti. Le persone della cura, psicologi, psichiatri, lo sanno: in tanti stanno peggio. C’è un contrasto stridente tra ciò che è e ciò che vorremmo che fosse. Si riuniscono famiglie cariche di non detti, di ruggini, di indifferenze. O si è soli. Anche chi è laico, o ateo, sente le dissonanze tra le coazioni a comprare e la semplicità del dono. San Nicola che faceva trovare la dote alle ragazze povere, o è il Babbo Natale cocacola, ma anche il Nonno Gelo Nordico. Tutto coesiste, ma bisogna scegliere.
Eppure il solstizio è così vivo nell’inconscio di noi tutti. In Svezia per Santa Lucia le bambine sono vestite di bianco e hanno coroncine di luce. È proprio quando ci si addentra nell’inverno che la luce comincia a crescere, poco alla volta le giornate si allungano.
Quindi sconforto e speranza, morte e rinascita che si abbracceranno nella morte e rinascita del capodanno, anche qui servono luci nella notte, i fuochi artificiali illuminano il passaggio.
Si tratta di accogliere la notte e coltivare la certezza del giorno. Una speranza fatta di orientamento: accolgo la sofferenza e non vedo altro, o accolgo la sofferenza e la trasbordo non con l’ottimismo della volontà, ma con la speranza volitiva.
Tempi difficili, che si manifestano nei disperati rabbiosi del web, nei muri e nella tomba dei naufragati nel Mediterraneo: chi avrebbe pensato che rinascesse il nazismo, con nomi e coloriture diverse.
E come combattere l’odio senza odiare gli odianti, che a chiamarli haters sembrano meno nocivi per la salute psichica di chi attaccano e di se stessi?
Le radici cristiane dell’Europa, San Benedetto. Leggete il gran libro di Rumiz Il filo infinito: viaggia tra i monasteri di San Benedetto, patrono d’Europa, non da archeologo dello spirito ma da viaggiatore inquieto, che cerca in queste radici cristiane il futuro, una accoglienza dell’altro.
Bisogna pensare largo, prendersi il tempo, coniugare un Ora et labora che prescinda dalle religioni. Basta cercare di essere umani.
29-10-2019
La Scuola nasce nel 2007 dopo molte riflessioni sul suo ruolo e sul suo procedere. Il P.Tarcisio Ciabatti, francescano ofm, aveva mandato negli anni dei giovani Guaranì a formarsi presso l’Istituto Musicale di Urubichà, diretta da un altro francescano, P. Walter, in una comunità Guarayos a circa 800km dalla regione del Chaco. Questi musicisti usciti dalla Scuola di Urubichà diventano gli insegnati della Scuola del Chaco, che si articola in tre comunità Guaranì, Santa Rosa de Cuevo, Palmarito e Ipitacito del Monte. Nasce come scuola di musica e di artigianato, per portare avanti un progetto culturale del popolo Guaranì.
La Scuola progredisce negli anni nella musica e nelle arti anche per l’impegno di tre artisti Toscani, Filippo Burchietti, violoncellista, Marco Facchini, violinista e Mimmo Roselli, artista visivo. I rapporti con la scuola di Musica di Prato, con il Festival Zipoli e con il Festival Internazionale di Santa Rosa de Cuevo, promosso da Mimmo Roselli, fanno sì che la Scuola possa avere una visibilità internazionale. Il Coro della Scuola viene invitato a cantare in manifestazioni prestigiose come il Festival Internacional de Musica Barroca y Renacentista, diretto dal musicologo P. Piotr.
Questo Ottobre 2019 il Coro Palmarito-Santa Rosa, insieme ad elementi della Orquesta Urubichà, è stato invitato dal Sinodo dell’Amazonia in Vaticano, dove ha eseguito un concerto di musica Barocca e musica tradizionale, accompagnata da danze di tradizione Guaranì ed ha cantato nella messa con il Papa nella Basilica di S. Pietro.
Il repertorio della Scuola è molto legato alle musiche trovate nella Reduccion Gesuitica di Concepcion e conservate e restaurate presso l’Archivio Musical de Chiquitos, musiche prodotte da Domenico Zipoli ed i suoi allievi Guaranì.
Programma dei concerti:
29 di Ottobre: Convento di Santa Croce in Fossabanda, Pisa, 0re 21.00, Concerto del Coro Palmarito-Santa Rosa/Orquesta Urubichà, Musiche di D. Zipoli, Anonimo Guaranì et al.
30 di Ottobre: Scuola di Musica di Fiesole, S.Domenico, ore 19.00, Musiche di D. Zipoli, Anonimo Guaranì et al. Eseguiranno il Coro Palmarito-Santa Rosa/Orquesta Urubichà con la partecipazione del maestro Filippo Burchietti e alunni della Scuola di Musica di Fiesole.
31 di Ottobre: Arengario di Palazzo Vecchio, Firenze, ore 16.30. Programma misto con presentazione delle attività di Enti Toscani in Bolivia; parleranno Ass. Martini, Prof. Bartoloni, Dr.ssa Caldes, Maestro Zampini, Maestro Roselli, modera P. Giuseppe, Dir. Missioni Francescane. Il Coro Palmarito-Santarosa/Orquesta Urubichà presenterà musiche tradizionali dei popoli Guaranì e Guarayos e musiche barocche.
1 di Novembre: Chiesa di Ognissanti, Firenze, ore 18.30. Messa cantata officiata dal Cardinal Betori, Coro Palmarito-Santa Rosa/Orquesta Urubichà (Misa S. Ana). Segue Buffet. Ore 21, Concerto nel Chiostro di Ognissanti del Coro Palmarito-Santa Rosa/Orquesta Urubichà con la partecipazione del Maestro Marco Facchini.
12-12-2018
Alessandro Baricco divide: lettrici entusiaste e acritiche, lettori perplessi o irritati dal narcisismo arrogante della persona, ancora più che da certi limiti dello scrittore. A qualunque delle due fazioni si appartenga, bisogna riconoscere al Nostro la capacità di pensare in modo originale e affascinante: le conferenze che riempiono i teatri spiegando la mappa della metropolitana di Londra sono piccoli capolavori e testimoniano una capacità di riflessione che coniuga una profondità all’antica con la velocità delle connessioni del pensiero digitale.
I Barbari dieci anni fa mi aveva entusiasmato: leggere il nuovo parlando del vino californiano o di Gianluca Zambrotta, velocità a tutto campo contro il terzino linea del Piave alla Claudio Gentile (ma Antonio Cabrini dall’altra parte era già il nuovo che avanza). Il libro raccoglieva gli articoli apparsi su Repubblica, The game invece è un libro-libro, 300 e rotte pagine di riflessione sulla rivoluzione digitale. La prospettiva ovvia viene rovesciata: non si chiede cosa fa tutto ciò alla nostra mente, ma quale mente ha avuto bisogno di creare questi strumenti e queste app che hanno colonizzato la nostra vita.
Ed ecco la categoria dell’oltremondo, quello della connessione perpetua che ci preoccupa guardando nostro figlio che guarda il telefonino mentre segue il Milan. Michele Serra, ne Gli sdraiati, ha scritto una pagina memorabile raccontando in diretta i pensieri frammentati e incastrati l’uno con l’altro del figlio che studia chimica, guarda un telefilm e ciatta (o chatta? Rivoluzione ortografica?), tutto insieme. Allo sguardo perplesso del padre il figlio commenta: è l’evoluzione.
E così pensa Baricco, per cui questi devices (strumenti non gli piaceva?) sono protesi, ampliamenti sensoriali, elementi della doppia forza motrice che alimenta la vita dei millennials. Vivono in questo mondo e nell’altro, che chiama “l’oltremondo”. Mi manca Marshall McLuhan, chissà che ne avrebbe detto. Il tipo aveva anticipato molto di tutto ciò. Velocità, accesso illimitato alla conoscenza, fine del dominio culturale delle élites. Anche se cerca di essere obiettivo e non dichiarare le sue simpatie, Baricco propende per le “magnifiche sorti e progressive”, pur dando qualche spazio alle obiezioni novecentesche: non c’è profondità, il valore delle cose lente, il vinile che tutto sommato ci permette gesti antichi e resiste come gli amish, anzi cresce da anni e vince una tappa in volata sulla musica digitale. Una sola, ma insomma: è un segno.
Del resto la popolazione invecchia e anche a noi del secolo scorso sarà permesso andare a teatro, mettere un disco sul piatto, leggere Guerra e pace. Siamo tanti e votiamo, attenti a voi, magari i tweet di Matteo Salvini e Donald Trump non ci sembrano veloci, ci sembrano rozzi e superficiali sotto tutti i punti di vista. Niente rimpianti del buon tempo che fu: intanto c’era moltissimo cattivo tempo e in secondo luogo opporsi all’esistente è come rifiutare l’elettricità a suo tempo.
C’è un paradosso che Baricco non menziona. Un lungo lavoro di ricerca, penso almeno un anno per scrivere 3oo pagine, un libro da leggere col lapis per sottolineare, appuntare, discutere. Einaudi e non il web, va letto su carta e non e-book: un saggio pensato, anche se pieno di osservazioni colloquiali. Deliziosa la pagina in cui racconta il figlio di tre anni che cerca di ingrandire la foto sul giornale. In sostanza un libro prerivoluzionario, novecentesco, per riflettere con calma sulla modernità. Peccato che manchi una bibliositografia. In fondo Baricco è del 1958 e ha una laurea. Ci vogliono tutti e due. Spero che abbia ragione e che i nostri figli siano potenziati da questi strumenti, non risucchiati e nei casi più gravi scissi.
16-11-2018
Le parole contano: puttane, pennivendoli, sciacalli i giornalisti. Una sequenza di insulti che è un condensato del peggior sessismo, della stereotipia linguistica (pennivendoli, ma dai, cerca un’altra metafora, anche per insultare serve un po’ di intelligenza), della più profonda intolleranza. Ci ricordiamo le liste dei giornalisti nemici, indicati come bersaglio da colpire? O i garbati inviti di Grillo: che faresti alla Boldrini? E ora la lista dei giornalisti buoni? Dibba voleva mostrare che non generalizza, peggio il toppon del buso, peggio la toppa del buco: significa riaffermare l’idea.
Tira un’aria culturalmente squadrista, fatta di me ne frego, incapacità di ricordarsi che si rappresentano le istituzioni e del fatto che chi governa governa tutti, non solo i suoi elettori. Non immagino l’olio di ricino, ma questa politica, con un linguaggio da talk show di serie B, inquieta.
Virginia Raggi non aveva commesso reati, bene, massimo rispetto per la magistratura, è fondamentale. Resta il fatto che non ha saputo o voluto scegliere con accortezza i suoi collaboratori, e che forse è presto per considerarla una vittima da santificare. E siamo d’accordo che tutti gli ultimi sindaci, Alemanno, Marino e Raggi, hanno fallito. La grana Roma richiederebbe una volontà politica fortissima e trasversale. Qualcuno ricordava che i sessantamila dipendenti comunali portano con i familiari più di duecentomila voti, nessuno vuole rischiare.
Si minacciano leggi contro la stampa, si leva la scorta a chi ci ostacola, si governa più attenti al gossip per i social che alla leggi da fare. Le foto di Salvini a letto, roba che neanche Trump. E poi, francamente, immagino l’imbarazzo dei figli a scuola. Mi aspetto la candidatura di Fabrizio Corona.
Sempre in giro a raccogliere voti i due vicepriministri fanno fare a Giuseppe Conte la figura del grande statista. Certe dichiarazioni sono da incorniciare: “li farò ragionare”. Conte è il tutore?
Votare è un dovere, ma comincio a capire chi non lo fa più. In politica non si parla di ‘ndrangheta e mafia, tre regioni sono in mano loro, le altre infiltrate. Purtroppo sono dieci anni che l’unico argine è rappresentato da magistratura, polizia, carabinieri e finanza. Venti anni di campo libero per la politica, ghiotta di quei pacchetti di voti garantiti. Destra, sinistra e centro si sono girati dall’altra parte, Giulio Andreotti poteva sostenere di avere fatto leggi dure, e il suo proconsole siciliano Salvo Lima finiva ammazzato per motivi poco chiari. Neanche una querela per il film di Sorrentino, Il divo, e non ce ne saranno per quello su Berlusconi.
Il clima è una tragedia mondiale, la Liguria è spazzata via. Politici ambientalisti? dovrebbero esserlo tutti. Dovremmo esserlo tutti. Ma forse stanno in collina. Forse stiamo tutti in collina.
Spero vivamente che questa invettiva a tutto campo, sconsolata e confusa sia figlia anche di un certo rimbambimento senile, rancoroso e brontolone. Ma mi chiedo: e se davvero fosse troppo tardi per raddrizzare la barra? L’emergenza climatica ne è il simbolo: ne patiamo tutti gli effetti ma a livello mondiale si contesta anche il protocollo di Kyoto, già ritenuto insufficiente dagli scienziati a suo tempo.
Gli scrittori spesso colgono certi segni in anticipo. Non vorrei che Corman McCarthy, con i suoi scenari post apocalittici di un pianeta distrutto dove bande di disperati si riducono al cannibalismo, avesse ragione. So di piccole comunità neo utopiche che si preparano all’autosufficienza. Fanatici catastrofisti? Lo spero.
Prendiamo in considerazione seriamente la possibilità di essere sull’orlo di una catastrofe economica, politica e ricominciamo a pensare. Occorre un nuovo paradigma culturale. Occorre pensare largo e lungo, al di là delle prossime elezioni, dei sondaggi di domani. Occorre fare scelte coraggiose.
13-09-2018
Tempi orribili, altri cento migranti morti in mare, l’Europa va a destra e la sinistra non si interroga troppo lucidamente, salvo sbraitare con gli stessi toni di Salvini (mica tutti, certo). E allora ha senso parlare del Museo della lettera d’amore? Certo che ha senso. Bisogna individuare gli anticorpi attivi in questo processo di disumanizzazione.
Siamo in Abruzzo, il paese è Torrevecchia Teatina, pochi chilometri da Chieti. Proprio per un post su questo blog mi invitano alla serata finale del concorso per la miglior lettera d’amore, 18esima edizione. Non ho mai scritto lettere d’amore, non sono capace, tutti quelli che mi conoscono gridano allo scandalo. A me è bastato quel bel nome, Torrevecchia Teatina, per decidere di andare, una bella gita di fine settimana in Abruzzo, regione bellissima e poco frequentata.
Nel giardino di in bel palazzo ci sono centinaia di persone, forse tutto il paese, per non parlare dei premiati. Nell’attesa visitiamo il museo. Oltre alle tante lettere premiate, una bellissima collezione di cartoline d’epoca, di quelle che venivano mandate in busta chiusa per non compromettere la destinataria, alcune vagamente licenziose. Ma ci sono anche le letterine dei Papa Boys a PapaWojtyla, amori d’epoca, corrispondenze segrete che ora si staccano dalla vita dei protagonista per lasciarne una traccia sottile come un profumo persistente.
Il museo è unico al mondo, mi dicono la sindaca e MassimoPamio, il direttore. Non ne dubito, queste genialità bizzarre accadono in provincia. La cerimonia è lunga, hanno partecipato al concorso anche le scuole di ogni ordine e grado, come si diceva una volta. Ragazzini e ragazzine che fanno dichiarazioni d’amore al proprio letto o al cellulare, poi in crescendo i segnalati, categorie più rappresentate le prof di lettere e i medici. Con piacere vediamo che l’amore non ha restrizioni omofobe, che esplora tante sfere d’amore diverse, familiari, amicizie, perfino idee. Con una bella lettera ad un amico vince Arnaldo Colasanti, scrittore vero e intellettuale (non è una parolaccia) mai banale, anche nell’antica pratica della discussione.
Su una dritta di Pamio mi spingo fino a Popoli, un paesino che per colmo di sventura si sta spopolando. Quale miglior posto per aprire una libreria? Il paese è vivo, giorno di mercato, la libreria si chiama Il libraio di notte, ha orari variabili ed è l’avventura d’amore di un musicista, laureato in lettere e altro. Ho un debole per le piccole librerie, quindi questa intervista al libraio Paolo Fiorucci è la mia lettera d’amore a tutti i librai. Parafrasando De Andrè: “ Tu che li vendi, cosa ti compri di migliore?”
Quale fil rouge tra musica e libri?
Se parla della mia carriera di cantautore posso dirle che la maggior parte delle mie canzoni sono nate grazie alle letture che mi accompagnano da sempre. Credo nella compenetrazione delle diverse forme d’arte. Alcuni autori di canzoni sono influenzati dal cinema, altri sono più fotografici, alcuni teatrali. Nel mio caso è la letteratura a farla da padrone. E, magari La stupirò, nella mia produzione ha avuto maggior peso la prosa che la poesia, sebbene quest’ultima sia continuamente accostata alla canzone. Da lettore invece preferisco il silenzio, non riesco a leggere con un sottofondo musicale. Bastano le parole.
Lei cosa legge?
Prosa italiana novecentesca perlopiù. Parise e Buzzati su tutti, e Tabucchi. Anche se i miei scrittori preferiti, Albert Camus e Cormac McCarthy, sono stranieri. Altri nomi… Fante, Silone, Rodari, Erri De Luca, Fritzgerald e Sclavi.
Quale rapporto con i lettori di Popoli?
Molto diretto, perché il locale è di 12 metri quadri e non c’è un vero e proprio bancone. Poi, se apri una libreria in un centro di 5mila abitanti sei consapevole che non si tratterà soltanto di vendere libri, ma diventerai soprattutto luogo d’incontro, punto d’ascolto, persino psicoterapeuta all’occorrenza. Ho dei clienti fidelizzati che ormai considero amici e, date le dimensioni del bacino di utenza, non poteva essere altrimenti.
Come vede la sua libreria tra 10 anni?
La risposta alla Sua domanda richiede coraggio, follia, passione e un ottimismo quasi patologico, considerati i tempi. La vedo aperta, e ancora bellissima.
22-03-2015
Nicaragua, Managua, mercado oriental: una città nella città, con i suoi vicoli proibiti dove si vende di tutto, si traffica, si trova non solo la droga ma anche le armi, ci si prostituisce. In una discarica frugano nell’immondizia bambini, piccolissimi, recuperando il recuperabile, sopravvivendo con gli scarti del benessere. Come a Mumbai, a Nairobi, a Manila. Dormono lì a gruppetti, poi si spargono per il mercato, cercano qualcosa da rubare, magari una turista da assaltare, si muovono in gruppo. Appena adolescenti, si armeranno, diventano pandilleros e molti di loro moriranno nei conflitti a fuoco con la polizia o tra le bande giovanili, le pandillas, che si spartiscono il territorio.
Al mattino Eric, Bonnie e Juan li cercano nelle viuzze, gli propongono di venire a mangiare nella ‘casa filtro’, a fare una doccia. Sanno muoversi, conoscono tutti i vicoli, sanno come avvicinare i ragazzini: sono stati anche loro nella strada. Oggi lavorano per il progetto Los Quinchos, creato venticinque anni fa da una professoressa sarda che era venuta per vedere la vittoria dei sandinisti: il viaggio era alla fine, stava per tornare in Italia: aveva già visto i bambini di strada che sniffano la colla e cercano di sopravvivere, molti in Messico e in Guatemala: una sera vicino all’hotel Intercontinental ne aveva incontrati tre molto piccoli, che dormivano in una ruota di camion.
“Che ci fate qui?”. “Ci viviamo”. Li aveva portati a mangiare, ma al momento di lasciarli aveva deciso che doveva tornare in Nicaragua e fare qualcosa: tutto ciò era intollerabile.
Quattro anni dopo, nel 91, con qualche soldo raccolto tra gli amici di Cagliari, era tornata e non se ne è più andata. Si chiama Zelinda Roccia, un nome che sembra lo pseudonimo di un’artista di circo. E’ molto intelligente, amorevole e tostissima al tempo stesso. Altrimenti non ce l’avrebbe fatta.
Tra mille difficoltà, dolori e soddisfazioni, oggi dalla ‘casa filtro’ quelli che vogliono provare a lasciare la strada vanno a vivere in campagna a San Marcos, in una fattoria a un’ora da Managua: vanno a scuola, imparano mestieri, alcuni tornano nella strada, nella droga, nella criminalità. Molti trovano la loro di strada, c’è chi si è laureato. Un’altra casa accoglie le bambine, una terza è in un’altra città.
Ho lavorato con loro per un breve periodo, un corso di psicosintesi per educatori: non sapevo davvero se potesse essere utile, forse sì, visto il grande coinvolgimento. Lo è stato certamente per me: ho fatto anche degli incontri individuali, raccogliendo storie terribili , che mi facevano chiedere dove sarei io se avessi vissuto la metà di quello che è capitato loro.
Straordinaria capacità di resilienza, di non perdere la propria umanità, di fare della propria tragedia lo strumento per essere educatori, visto che dalla strada vengono e sanno di che parlano i bambini: si chiamano Los Quinchos, “nunca mas un nino en la calle” è il progetto, vivono grazie al lavoro di Zelinda, degli educatori e dei comitati italiani che li sostengono, a Firenze, Bolzano, Brescia, sull’Adda, Cagliari.
15-04-2014
Caro Leonardo, cara Maria Elena,
sembra già passato tanto tempo, eppure qualcuno è ancora in galera. Sembra passato già tanto tempo, si chiamava come? Carlo Giuliani, mi pare. E il carabiniere, lui praticamente non ha nome, pare normale, lo protegge non avere nome, è ovvio, eppure lo distrugge anche, il rinculo di quell'arma da fuoco uccide anche lui, per esistere non può più esistere, e se uccidi un tuo coetaneo,tu sei vittima del tuo gesto. Sofri aveva previsto tutto, con la lucidità dolente del suo osservatorio,con la memoria della sua esperienza: è il primo morto che fa lo spartiacque, dopo nessuno è più lo stesso.
È successo di venerdì, io dovevo andare sabato, nuclei meditanti concilianti, si scherzava, tutta gente tranquilla, ARCI, Mani Tese, Lilliputh: il cellulare avrà squillato dieci volte, ma la batteria era scarica sapevo che erano i miei amici, in dubbio, si va o no, dopo il morte ci sarà la pace del lutto, la rabbia della vendetta o che altro?
Io ho una figlia piccola, un altro in arrivo, i miei amici pure aspettano un bambino, lo sanno da pochi giorni: andare o no? credo che fosse Longanesi che voleva scriverlo nel bianco del tricolore, "teniamo famiglia". La mia mi è accanto, Martina ha detto che se qualcuno spinge il babbo lei gli tira una pizza col pomodoro e poi l'acqua. Oggi gli anarchici nsurrezionalisti cominciano sempre prima ad armarsi.
Maria Elena, nipote e papagirl, mi mandi un messaggino ignara che tuo zio ha il telefono rotto. Lo leggerò molti giorni dopo: se dai fuoco ai cassonetti non sei più mio zio. Mi vuoi bene, ma chissà, forse lo pensi davvero che mi possa trasformare in un violento. Se uno va a Genova, o va per far casino o se le cerca, pensano in tanti. La sera prima tiro tre carte: cinque di spade, lagrimas; gli Amanti, ovvero la scelta; la Torre, ovvero non la vedo affatto bene e non dipende da me.
È una vita che non vado a una manifestazione, perché proprio ora. Perché è ora che accade, c'è qualcosa di nuovo, e voglio esserci. E poi il regista Stefano Agosti, presuntuoso come sempre, ha detto alla radio: io vado quando c'è profumo di storia, non quando c'è puzzo di cronaca. Si sarà mangiato le mani, le riprese ora le hanno fatte gli altri.
Paura non ne avevo, anche se le carte erano chiare, lagrimas lascia pochi dubbi, dicono di portarsi i limoni, non ho capito bene, è come farsi un autogavettone prima che ti bagnino gli idranti. Però prendo scarpe buone per correre, un sarong giavanese un po' magico, che mi può fare da turbante antimanganello, fasciatura e mille altri usi.
Sull'autobus pochi i posti vuoti, anche dopo il morto. Non ho nessuna illusione, sarà una giornata dura: mi guardo attorno, vecchie facce, fa allegria rivedersi,e poi questi ragazzi di venti anni, sguardi puliti, li vedo e temo, non c'è malizia, e oggi servirà perché "ci sono anche i delinquenti, non bisogna aver paura ma stare un poco attenti". Da come parte il nostro gruppo nel corteo capisco che siamo candidati al manganello, ce ne siamo già persa una buona metà, c'è anche una con la gamba rotta in carrozzella, bella determinazione, ma continuerò pensare a lei nel casino tutto il giorno.
Il resto lo sappiamo tutti, i fatti sono argomenti testardi e nell'era mediatica e globale caro Presidente lo dovrebbe sapere, bugie così rozze non resistono, rivoli di verità da tutte le parti, proprio da tutte, perfino dalle sue televisioni, mica solo da Radio Sherwood.
I black block indisturbati e i pacifici picchiati, metter paura, spezzare le reni ai troppi per la strada: copioni vecchi, che ai cinquantenni come me fanno l'effetto di uno dei tanti già visto, già sentito. Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla, è stato detto. Forse anche chi la conosce.
Nei giorni dopo le e mail arrivano a cascata, i fwd si moltiplicano in una progressione impressionante. Quella di Leonardo è dura, all'ingiustizia non si vuol più dare una risposta pacifica, la rabbia è compressa, io penso ad un volto aperto, una testa fine, un'impressione di una bella persona.
Penso ancora a Sofri, penso a belle persone che hanno fatto cammini dolorosi e mi chiedo molte cose, in realtà una sola: cosa può rompere questa coazione a ripetere?
Le spiegazioni politiche economiche sociali sono così evidenti che bloccano nella ripetizione.
Il corteo di sabato vedeva sfilare vecchi comunisti greci e antivivisezionisti, curdi e verdi, anarchici e tute bianche, papaboys e molti fuoririga, uno sui trampoli, un francese vestito da vescovo, professionisti di mezza età e terzomondisti, gente del commercio equo solidale. Che vuol dire tutto ciò?
Vuol dire che in molti dicono: ci riguarda, l'interdipendenza di Tich Nat Han, il monaco vietnamita, la vediamo tutti, per cui lo ricordiamo a chi mette in scena questa pagliacciata mediatica del "lasciateci lavorare" dei reclusi nella zona rossa (ironia dei colori). Vi è quindi una coscienza di un potere globale, in cui il corteo deve riconoscere le sue mille facce, e un'idea di prepotenza globale, che pure andrà vista nella stessa scena, ne fa parte tanto più quanto più se ne isola e manganella l'altra parte, o ne subisce la pressione, pacifica o violenta. Tute bianche, i black block, le divise dei vari corpi: la logica delle divise, la parola porta già in sé la separatività.
Eppure quando volteggiano gli elicotteri e parecchi fanno il gesto della P38 o gridano bastardi assassini, ci guardiamo sconfortati con Alessandro e Michela nel vedere il cane di Pavlov ancora all'azione. Stimolo-Reazione, suona la campanella, esce la bava. Come è possibile rompere questo cerchio?
C'è un processo inarrestabile, la presa di coscienza collettiva, per niente antiideologica, ma anche sovra o poliideologica. Questo è nuovo, gli slogan del 68 diomio no, sono miopi. Leonardo, Maria Elena, noi, tutti, è un allargare che comincia a perdere quando abbocca all'amo repressivo io ti bastono, tu ti incazzi, sei un violento. La non violenza attiva è antica come le montagne,diceva un politico sottile come Gandhi. La nostra coscienza dovrà allargarsi, sempre meno separativa, questo sì che è difficile, se già nel mio corteo sai quanti ce n'era che li guardavo e dicevo oibbò, mente critica giudicante sempre militante, pochi i momenti di riposo.
Tich Nat Han è riuscito a fare incazzare i governi del Vietnam e degli Stati Uniti, ha lavorato con i veterani e con gli aggrediti, è stato espulso di qui e di là. È scrittore, insegnante di meditazione, sempre presente al mondo. Luther King lo aveva proposto per il Nobel della pace. La sua gente è stata violentata in mille modi.
Una bambina, una dei tanto boat people che non ce la fanno, violentata da un pirata tailandese si annegò.
Dopo una lunga meditazione, il cuore gonfio di dolore, scrisse questa poesia:
Chiamami con i miei veri nomi
Non dire che domani scomparirò, perché io arrivo sempre.
Guarda in profondità: io arrivo ogni secondo, per esser un germoglio sul ramo a primavera;
per essere un minuscolo uccellino con le ali ancora fragili che impara a cantare nel suo nido;
per essere un bruco nel cuore di un fiore; per essere un gioiello che si nasconde in una pietra.
Io arrivo sempre, per ridere e per piangere, per temere e per sperare.
Il ritmo del mio cuore è la nascita e la morte di tutto ciò che è vivo.
Io sono un insetto che muta la sua forma sulla superficie di un fiume.
E io sono l'uccello che, a primavera, arriva a mangiare l'insetto.
Io sono una rana che nuota felice nell'acqua chiara di uno stagno.
E io sono il serpente che, avvicinandosi in silenzio, divora la rana.
Sona un bambino in Uganda, tutto pelle e ossa, le mie gambe esili come canne di bambù,
e io sono il mercante che vende armi mortali all'Uganda.
Io sono la bambina dodicenne profuga su una barca,
che si getta in mare dopo essere stata violentata da un pirata.
E io sono il pirata, il mio cuore ancora incapace di vedere e di amare.
Io sono un membro del Politburo, con tanto potere a disposizione.
E io sono l'uomo che deve pagare il "debito di sangue" alla mia gente,
morendo lentamente in un campo di lavori forzati.
La mia gioia è come la primavera, così splendente che fa sbocciare i fiori su tutti i sentieri della vita.
Il mio dolore è come un fiume in lacrime, così gonfio che riempie tutti i quattro oceani.
Per favore chiamatemi con i miei veri nomi, cosicché io possa udire tutti i miei pianti e tutte le mie risa insieme,
cosicché io possa vedere che la mia gioia e il mio dolore sono una cosa sola.
Per favore, chiamatemi con i miei veri nomi, cosicché io mi possa svegliare
E cosicché la porta del mio cuore sia lasciate aperta, la porta della compassione.
(Essere pace, Ubaldini ed. pg86)
E poi ci sono state le torri, e il bisogno di vedere al di là dell'illusione separativa si fa sempre più urgente, anche se ci si sente sempre più soli, inevitabilmente destinati alla sconfitta dell'oggi e alla verità del sempre.
15-04-2014
Quod este inferius, est sicut (id) quod est superius, et quod est superius, est sicut (id) quod est inferius, ad perpetranda miracula rei unius.
(Tabula smaragdina Hermetis)
Il tema dà un brivido tra le spalle, in quel punto che Nabokov chiamava "l'organo della letteratura". Credo che nasca da quella piccola sorpresa nascosta in ogni spiazzamento, come questa che nasce dall'aprirsi improvviso di un crepaccio cognitivo; Agostino lo ha detto magistralmente a proposito del tempo, notando che sa cosa è il tempo finché non gli viene chiesto, quando lo deve dire non lo sa più.
Sacro e profano sono due termini che sembra facile definire, ma nascondono complessità e spirali di contraddizioni.
Decido di partire dalle etimologie, guidato da Niccolò Tommaseo e da Giacomo Devoto, due che non si lasciano fuorviare facilmente.
Sacro: dalla rad. SAK, propria delle aree italica, ittita, germanica settentrionale e tocaria per indicare" ciò da cui si deve stare lontani perché sacro".
Profano: "davanti al tempio". [1]
Definizioni basate sullo spazio: dal sacro bisogna stare lontani, vi è un tabù spaziale, e allora lo spazio fuori dal tempio è profano. Difatti Gesù caccia i mercanti dal tempio, che vadano nello spazio giusto, quello profano. Non mi sembra che questa parola debba essere svalutativa, è solo una giusta collocazione.
Nel campo dell'etimologia, sono un profano, non sono addentro. Il punto di gravità, il polo magnetico che attrae e respinge è nello spazio sacro: come l'ultima stanzetta del tempio indù. Ove non si può accedere.
Ricordo la cerimonia balinese in cui mi sedetti su un sedile stranamente vuoto: l'amico Pak Mokoh mi accompagnò con garbo in un posto "da cui si vedeva meglio", scoprii poi che lì doveva sedersi un dio. Sacrilegio non intenzionale, ma anche attrazione energetica, forse.
Il fatto è che il confine tra dentro e fuori, tra ciò che è tempio e ciò che non lo è, è un confine soprattutto (ma non solo) mentale.
Ciò che è sacro per gli uni non è così per altri, e non è perenne: Dio Patria e famiglia, dopo il macello di due guerre mondiali, non sono più valori sacri per cui battersi. Scrive Tommaseo: "Il sacerdote è persona sacra. Ma può ben essere altro che santa".
Santo è più che sacro. "Che sacro differisca da santo, lo dice l'unione de' due vocaboli sacrosanto& Santo, che dà o riceve sanzione più solenne, è riconosciuto per sacro, e però deve tanto più rimanere inviolabile& L'infedele distrugge le cose che sa essere sacre al suo nemico. Perché non le crede sante". [2]
Se ciò che rende sacro è un atteggiamento mentale, è possibile non solo profanare ciò che per altri è sacro, ma anche sacralizzare ciò che comunemente si ritiene profano.
Come nello zen che rende sacre pratiche come la disposizione dei fiori, il tiro con l'arco, la cerimonia del tè. Del resto, con uso profano e ironico della parola, si dice che il tè delle cinque è sacro per gli inglesi.
Qua sacro significa irrinunciabile, significa che gli si dà un valore e si creano delle forme, cioè un rituale, in questo caso laico. Anche i rituali delle nevrosi ossessive sono una sacralizzazione fondata sul pensiero magico infantile: se non li si compie accadrà una catastrofe, Dio ci punirà, un Dio padre padrone, che si vendica di ogni infrazione all'ordine, anche a quello delle forme simboliche.
Il mistico, il santo, al contrario forzeranno i confini del sacro, trovando il santo ovunque, e scandalizzando: come il Simeone che si trascinava un cane morto al guinzaglio in chiesa e alle rimostranze dei buoni cristiani, faceva loro notare quanto putridume portassero loro con sé nel luogo sacro.
Il mistico vede Dio, sente la presenza, in ogni manifestazione, che siano i gigli di campo o l'acqua da tirare su dal pozzo. Il profano, poiché non sa, si farà scappare sotto il naso anche le manifestazioni si santità. Per quanti cittadini di Nazareth Gesù era un figlio scapestrato, un falegname mancato?
In un racconto di Anatole France, il procuratore della Giudea, Pilato non riesce proprio a ricordare questo caso che aveva giudicato.
La nostra scintilla di santità è il Sé, quando illumina ciò che era oscuro diviene di colpo presente, evidente, e allora i valori morali faranno posto ai valori etici, e ogni momento del giorno e della notte trova la sua sacralità.
"Lavare il piatto come se fosse il Budda bambino", dicono i tibetani. Nel tantra ciò che è profano diviene sacro: cibi proibiti, sesso.
Come tutte le dicotomie anche quella tra sacro e profano ha una sua verità relativa, un livello di base in cui è utile: chiederemo in un paese nuovo come ci si comporta, impareremo le forme condivise del rispetto per il sacro, le regole del gioco.
Ma ad una visione più profonda, inevitabilmente, il Sé appare come un ologramma presente in ogni atomo dell'ovoide, che sempre lo contiene e ne è contenuto.
"Ciò che sta in alto è come ciò che sta in basso: come i 'giorni' in alto sono riempiti dalla benedizione dell'Uomo (celeste), così i giorni qui in basso sono riempiti dalla benedizione grazie all'intermediazione dell'Uomo (del Giusto)." (Zohar, Waera, 25-a).
Nel nuovo millennio il sacro va cercato e creato nella strada, fuori dai templi, in ogni attività. Perfino in quelle comunemente considerate sacre.
[1] G. Devoto, Avviamento alla etimologia italiana, Dizionario etimologico, Le Monnier. [ritorna al punto]
[2] N. Tommaseo, Dizionario dei sinonimi, Vallardi [ritorna al punto]
Edito in Psicosintesi, Rivista dell' Istituto di Psicosintesi
15-04-2014
Primo giorno di scuola. C'era un grande silenzio soffice, in cui si avanzava a fatica. La Dea dai mille seni aspettava, lei non poteva fare neanche un passo; dovevano essere loro a trovarla. I bambini arrivavano a gruppetti. Non lasciavano mai solo chi si era perso, per questo ci mettevano tanto. Un brusio di lacrime li guidava.
Man mano che arrivavano si addormentavano sui suoi seni. La Dea cresceva perché i bambini erano tanti, erano troppi. La tenerezza si mescolava a un'ira feroce, che le faceva rotear gli occhi e le mille braccia. I bambini di lei non avevano paura; nessun altro osava avvicinarsi, solo ai piccoli offriva rifugio. Ai grandi sarebbe stato impedito di dimenticare, per molte vite a venire: negli occhi il sangue nelle orecchie le grida nella testa i pensieri freddi nel petto le paure rabbiose. Le lingue, secche.
Ricordare per sempre forse non sarebbe bastato.
Anche la Dea sentiva un desiderio di dormire, mentre l'ultimo dei bambini morti si attaccava al suo seno.
15-04-2014
Era un pomeriggio di marzo né bello né brutto, né inverno né primavera: un altro pomeriggio di noia in negozio, quando sai dalla mattina che non entrerà nessuno, neanche per un regalo da cento euro, neanche per curiosare.
Giulia poggiò il romanzo, quando si accorse che stava leggendo la stessa frase per la terza volta. La pendola suonava le cinque, mancavano tre ore alla chiusura. Si guardò di sfuggita nella specchiera : i capelli, che portava tirati indietro, da ballerina: erano ancora neri e spessi, gli occhi di un azzurro profondo conservavano la lucentezza ma sembravano meno allegri, o meglio, meno vitali.
Odiava quel negozio, neppure ricordava più come era stata fiera di quell’insegna sobria, “Antichità Ayroldi”, dei biglietti da visita di Pineider che Giorgio le aveva regalato, con la carta intestata..
Guardava le seggioline Luigi XVI, il disegno a china di Giovanni Fattori, la coppia di vasi Minton sulla consolle dorata , sotto la specchiera . Di ogni oggetto ricordava la storia, dove lo aveva comprato, la faccia del venditore : la bella credenza umbra presa a Todi, i vasi in un viaggio ad Edimburgo, e aveva voluto portarli con sé in aereo, per paura che si rompessero .
Comprare era divertente, anche ora : una piccola avventura , cercavi una scrivania e tornavi con un letto impero, e poi se spendevi tanti soldi era una buona cosa, voleva dire che lavoravi bene.
Ma ora c’era la crisi, anzi, c’era da anni, e gli antiquari si vendevano le cose tra di loro, per tedio : più che altro scambi. Giorgio, suo marito, era discreto , non le diceva nulla di troppo esplicito. Solo una volta, compilando la sua dichiarazione dei redditi, si era lasciato sfuggire un “ finché non ci si rimette …”.
“ Già. Economicamente, meglio chiudere. “
Era arrabbiata, e quando si arrabbiava le uscivano frasi cortissime. O nulla..
“ Ma no . Tanto i mobili non vanno mica a male, aveva detto lui abbracciando con un gesto tutto quello che vedeva. In fondo sono un investimento conservativo.”
Una retromarcia morbida, accomodante. Non avevano certo problemi di soldi, lui guadagnava benissimo. E Giulia , che avrebbe fatto, senza il negozio ? I figli non erano venuti , lui era sempre nello studio fino a tardi, o via per lavoro,quando andava ai ciddià, con l’accento in fondo, i tanti consigli di amministrazione che testimoniavano il suo successo; aveva cominciato a lavorare appena diplomato ragioniere, e si era preso la laurea in economia e commercio a trentacinque anni. Le era piaciuto proprio per le cose che spiacevano ai suoi : che era figlio di un maresciallo dei carabinieri, testardo, cattivo nel suo lavoro ma corretto, dolcissimo con lei.
Giorgio non ci poteva credere che l’irraggiungibile Giulia l’avesse scelto, e non stava a chiedersi perché . Gliene era grato e non si era mai pentito. A parte il dolore taciuto per la sua sterilità. Si stimavano, si volevano bene e dopo venti anni facevano ancora l’amore volentieri : un buon matrimonio, erano fortunati.
E poi la bellezza di Giulia e il suo cognome non lo avevano certo danneggiato nella professione. A parte il negozio, andava tutto bene. Sì, tutto bene.
Una donna si era avvicinata alla vetrina, facendosi visiera con una mano per vedere meglio dentro:
“ guarda la credenza là in fondo. Come la nostra. Anzi la nostra mi sembra più grande. Però uguale precisa. Ora si entra e chiedi quanto costa”, disse al marito che stava un po’ indietro.
Chissà perché la gente pensava che le parole non si sentissero al di là del cristallo della vetrina.
Spinse l’uomo dentro, e si vedeva che lui non ne aveva proprio voglia.
“ Scusi signora, quanto viene quella ?”
“ non è in vendita, è un mobile recente, di poco valore, in cui riponiamo ciò che non si espone “
L’uomo gettò un’occhiata di sbieco alla moglie , che stringeva il manico della borsa con tutte e due le mani. Se ne andarono in silenzio, e ripresero la discussione appena fuori.
In realtà era una bella credenza dell’ottocento e costava alcune migliaia di euro.
“ Come sono diventata brava”, si disse Giulia, “ ai tempi del basket le avrei rifilato una bella gomitata nelle costole, al momento del salto. L’idea che quella donnetta saltasse in pantaloncini la fece sorridere. Giocava bene, era un ala veloce, ma raramente finiva le partite , perché si caricava di falli.
“ Faccia d’angelo è una vera carogna “, disse una volta l’allenatore, che amava dare nomignoli. Lei preferiva ‘carogna’ a ‘faccia d’angelo’. Bei tempi. Aveva smesso venticinque anni prima, eppure sognava spesso le partite, la squadra.
In strada non c’era più nessuno : “ un tè, mi ci vuole un tè”, si disse ad alta voce. Cercò la mattonella con scritto “torno subito”. Gliela aveva disegnata Silvia, un’ amica ceramista : sotto la scritta c’era un’atleta sui blocchi di partenza, che vagamente le somigliava .
Aveva appena chiuso la porta a chiave quando squillò il telefono del negozio. Chi la chiamava sul fisso ? Controllò se il cellulare era acceso. Sì. Esitò, poi vinse la curiosità, e fece anche uno scatto breve per raggiungere il telefono, prima che la beffasse col silenzio.
“ Ayroldi Antichità ? Parla John Martini “
Il nome non le diceva nulla. Come se avesse sentito il suo pensiero l’uomo continuò : lei non mi conosce: ho dei mobili da stimare. Eventualmente da vendere. E’ interessata a vederli ?-
- Sì. Possiamo fissare un appuntamento-
- - Parto martedì per gli Stati Uniti. Domani è possibile ?-
No, doveva partire, per un paio di giorni, con Giorgio. Restava solo l’oggi. Non era l’ideale, ma insomma, era il suo lavoro.
- E’ vicino ?-
- Sì, qui in città. Via Fillungo 110. Il nome è sul campanello, John Martini. Anche subito.
- Va bene. Tra un quarto d’ora sono da lei.-
Chiuse di nuovo il negozio e si avviò verso l’unico bar che faceva un tè decente. Prendeva tempo, perché si era emozionata. Conosceva bene quel palazzo, ci passava spesso davanti, anche se ormai non lo vedeva neanche più. Entrarci era un’altra cosa.
Un quarto d’ora dopo era lì che leggeva i campanelli : non c’erano più i bei pulsanti di ottone, sostituiti da un videocitofono. Senz’altro era diverso anche il suono, uno di quei sibili persistenti, ci si poteva giurare: John Martini , un campanello in alto.
- Al quarto, disse una voce forte dal videocitofono. Le dava fastidio sapere che lui la vedeva.
C’era un ascensore, ma non lo prese. Le piaceva salire gli scalini, uno a uno. E poi faceva un gran bene ai polpacci. Fu lei a vederlo per prima, perché lui l’aspettava davanti alla porta dell’ascensore. Era alto, con capelli grigi fitti , jeans e maglione blu a collo alto.
- Il signor Martini ? –
- Ah, è lei-
- Ayroldi, Giulia Ayroldi. L’antiquaria- , aggiunse inutilmente , visto che lui non diceva nulla..
Aveva già visto che la porta aperta era proprio quella. Contò : cinque scalini dopo l’ascensore, la grande finestra sul pianerottolo. Erano proprio in cima al vecchio palazzo. Fece due conti : diciassette, quarantasei. Quasi trenta anni. L’uomo era silenzioso, seguendolo notò che aveva un passo elastico, per essere così alto. C’era una specie di ballatoio richiuso, su cui si affacciavano le camere e un salottino. Almeno, così era una volta. La casa era imbiancata, in ordine, ma sapeva di chiuso.
Si era distratta,sentì solo metà della frase :- perché quello che resta vorrei venderlo in blocco, al migliore offerente-.
Si ricordò perché era lì. Del resto era la parte del lavoro che le piaceva di più: la scoperta, quando trovi una bella ceramica in una casa insignificante, o un mobile da restaurare di cui vedi già la bellezza. Le trattative invece non la appassionavano troppo : se un mobile le piaceva davvero lo pagava caro, e non si era mai sbagliata : la bellezza alla fine si ripaga. Entrò in una camera , ma era diventata uno studio, con una libreria moderna che arrivava al soffitto e una grande scrivania al centro, troppo grande per essere facilmente vendibile.
Ora riconobbe l’odore della casa, e lo ispirò a pieni polmoni, come per sincerarsi che fosse proprio quello. Si accorse che l’uomo la osservava, forse per capire dove si poggiava il suo sguardo. Ma queste erano astuzie da commercianti, e lui non lo era di sicuro.
“ Ho venduto la casa e la debbo liberare . Molte cose le spedisco a New York, ma non è certo un appartamento grande come questo. Dovrò rinunciare a parecchi mobili.”
L’uomo aveva parlato in modo sobrio , attenendosi ai fatti. Alla fine del breve discorso gli era passata l’onda di un sorriso , dietro a chissà quale pensiero. Aveva una faccia da attore americano di una volta, di quelli che sembravano sempre uomini maturi, anche a venti anni : Cary Grant, Gary Cooper, i divi che aveva scoperto grazie a sua madre , quando la accompagnava al cinema di pomeriggio, in locali semivuoti dove la mamma poteva piangere senza ritegno alle scene commoventi. Anche a lei scappò un sorriso, che lui notò in silenzio.
- Posso chiederle da quanto tempo ha questa casa ? –
- Dieci, undici anni , forse. I miei genitori sono lucchesi e volevo che avessero una casa qui. E per le mie vacanze. Storie banali di emigranti.. Ma le cose sono cambiate, non c’è più motivo. Venga che le faccio vedere il resto.-
Ala fine del corridoio c’era un salottino, con uno splendido camino in marmo verde screziato, del settecento. Per fortuna non lo avevano toccato. E davanti il divano Luigi Filippo, grande. Le mancò il fiato.
Anche allora era inverno, l’inverno dei suoi diciassette anni. Studiava col cappotto sulle ginocchia e Antonio si era messo ad armeggiare con la legna, accortosi che aveva freddo. Lei si era avvicinata al fuoco più che poteva, mollando Kant e le laconiche spiegazioni del Geymonat. Lui l’aveva abbracciata da dietro e le aveva posato un bacio caldo sul collo. Giulia lo aveva sperato tanto, e ora aveva paura. Le mani di Antonio entrarono sotto il maglione, le graffiarono piano la schiena e poi cercarono goffamente i suoi seni. Si girò e le parve un dio, e non si deve rendere difficile la vita a un dio; si sfilò il reggiseno. Aveva lunghi brividi, timore piacere e freddo tutto mescolato.
- Peccato non potere portare via il camino -, disse l’uomo, sfiorandone i riccioli che finivano in una bella conchiglia, al centro.
- Potrebbe, ma sarebbe un delitto portarlo via da qui. Ci è nato-
Era un discorso bizzarro, per un’antiquaria.
- -Già, non facciamo anche di lui un emigrante-
Il resto della casa la toccò meno. Non si ricordava, e poi molto era cambiato, stanze sparite, bagni nuovi: una ristrutturazione di quelle che fanno gli architetti a clienti ricchi e frettolosi Erano proprio i mobili che riconosceva meglio, quei pochi rimasti. Un tavolone di castagno nella cucina antica, con il posto per il carbone sotto il focolare ; gli enormi armadi della soffitta, “ belli ma giganteschi, meglio che li venda con la casa, conviene a lei e all’acquirente.”
Avevano amoreggiato anche in soffitta. La verginità l’avevano persa assieme e avevano fatto l’amore un inverno e una primavera. Quando il suo dio si schiantò sull’asfalto, non stavano insieme: una lite , una picca d’orgoglio da cui non erano stati capaci di salvarsi.
Per il funerale molti tornarono dalle vacanze, ed era strano vedere le professoresse abbronzate con i vestiti scuri. Lei non parlò con nessuno, rifiutò gli abbracci e scappò via a metà della cerimonia.
- Lei è nato a New York ?- domandò senza interesse. Lui fece solo un cenno di assenso. Di colpo capì che l’uomo vendeva la casa per un lutto : forse i genitori, forse una compagna. Non era una casa fortunata.
- Viaggio molto per lavoro, non ci vengo mai. Sono un broker-
Broker era una bella parola, anche se non era sicura di sapere esattamente che significava. Doveva ricordarsi di chiederlo a suo marito.
- Ha una lista dei mobili ? Così le faccio le stime. Tornarono nel salottino in silenzio e lui tirò fuori dalla ribalta una lista precisa, stanza per stanza. Gliela passò e si mise a levare la cenere dal camino, per darsi un tono mentre lei scriveva i prezzi a cui era disposta a comprare. Quando ebbe finito non le venne fatto di chiamarlo,ma gli toccò leggermente la spalla , lasciando la mano lì un secondo di troppo. L’uomo rimase fermo, poi poggiò la mano sulla sua e cercò subito di intrecciare le dita. Lei tremava. Ora si guardavano, vicini. Fu di nuovo Giulia che avvicinò le dita alle labbra, ma fu lui che se le portò sulla lingua e le leccò con dolcezza.. Si spogliarono con lentezza, come si stillano le carte a poker. Lei ritrovò il suo posto sul divano, come se ne fosse alzata il giorno prima. Ma il corpo dell’uomo era più grande, e non poteva giocare piede contro piede con lui.
Fu strano, più che bello. Ma era contenta. Mentre si rivestivano pensò che a volte è più impudico rimettersi un reggiseno che levarselo. Gli girò le spalle.
Lui disse : sai, non ho capito il tuo nome quando me lo hai detto all’ascensore.-
- John, è certo che parti martedì ?-
- -Sì, ma-
- Non c’è un ma, e non ci sarà un poi. Puoi promettermi una cosa ? Ne qui né a New York, ne a Shangai o dove diavolo fai il broker, da nessuna parte, di oggi dirai nulla. Neanche un respiro. Lo so che sembra stupido, e non c’entra niente col fatto che sono sposata. Neanche un respiro. Prometti ?-
Le scendevano due lacrime lente, che lui guardò con stupore.
- Prometto-, disse , e Giulia sentì che gli si poteva credere.
- Ma perché hai chiamato proprio me ?-
- Ayroldi Antichità. Il primo della lista-
Giulia rise , e scrisse sulla lista delle stime il nome di un collega.
- Lui ti può comprare tutto, i prezzi che ti ho scritto sono onesti , vendigli le cose in blocco. Meno questo, e indicò il divano. Firmò veloce un assegno per il doppio della stima. Lui lo prese scuotendo la testa, incerto . Poi lo strappò.
- - E’ tuo. Neanche un respiro.-
Si mise l’indice sul naso, con un gesto infantile.
- Come preferisci. Lo mando a prendere lunedì.-
Quando il grande portone del palazzo si chiuse dietro di lei fu contenta di rientrare nei rumori della strada, e confondersi tra la gente . Era buio. Passò a chiudere il negozio e poi andò a prendere Giorgio allo studio.
A cena mentre lui parlava del suo lavoro, lo interruppe:
- forse hai ragione te, non ha senso continuare a tenere aperto il negozio solo per pagare le spese. E poi non mi ci si diverto più come una volta, le giornate non finiscono mai, e non voglio cominciare a lavorare a maglia.-
Lui era spiazzato , e prese tempo
- Ma se chiudi, poi che farai ?-
- Oh, qualcosa mi inventerò . E non potrà essere più noioso di questo. –
Cercò le sigarette nella borsa e scoprì così che si era portata via la mattonella di ceramica.
La mostrò a Giorgio e disse :- torno subito-, soffiandogli piano il fumo in faccia.
Andrea Bocconi
15-04-2014
E' in arrivo nelle sale il film di Sean Penn ‘Into the Wild’ che narra la storia di un giovane, quasi un ragazzo, che abbandona tutto della sua tranquilla esistenza borghese per un vagabondaggio esistenziale estremo. Riporto una cosa che ho trovato: “Frustrando le aspettative familiari, non appena conseguita la laurea, il ventenne Chris rinuncia alle prospettive di una brillante carriera, dona tutti i suoi risparmi in beneficenza, distrugge le carte di credito e inizia un lungo viaggio che diventa una sorta di percorso di iniziazione verso la maturità...” . Egli si reca nell’ancora selvaggia Alaska scontrandosi con problemi estremi di sopravvivenza e di solitudine nella natura.
Ecco, come dicevo non ho ancora visto il film, quindi mi sono creato una mia immagine di esso e mi è venuto di confrontarlo a quella che è la nostra pratica meditativa, dove la mente sembra muoversi in una landa deserta, dove il silenzio è reale, dove c’è la ricerca di aumentare lo stato di povertà e di deprivazione della mente e non di arricchirla.
Una di queste sere sono stato a una riunione del nascente Partito Democratico (che c’entra questo? Lo vedremo) . La mia storia personale, le mie tendenze e una certa curiosità per questa formazione che, almeno parzialmente, sta nascendo dal basso (in contrapposizione, ad es. ad un certo ‘partito-azienda’) , mi hanno spinto lì. Qualcuno mi ha anche proposto di candidarmi e ne sono stato tentato. Penso di avere delle idee, a mio parere interessanti, ‘diverse’, e mi sono chiesto se non fosse il caso di condividerle con altri.
Vi ho riflettuto un po’, vi ho anche meditato, però ho scelto di non farlo. Benché questo partito stia nascendo dal basso e benché mi sembri di condividerne le idee e il metodo di crescita, in sé davvero democratico, ritengo che la via della liberazione e quella della politica non siano, almeno per me, compatibili. Per lo meno in questa fase ritengo così. Quando, venti anni fa, inizia una mia ricerca spirituale e mi avvicinai alla meditazione, ebbi qualche divergenza con qualcuno che voleva usare i temi meditativi in chiave politica. A venti anni di distanza ho cambiato molte delle mie idee iniziali ma, almeno personalmente, vedo che fare politica attiva mi porterebbe più danni che benefìci. Non in senso materiale, ovviamente, ma mentale. Un’analisi che feci di me venti anni fa, agli inizi della pratica, mi portò a cogliere gli aspetti negativi, se così si può dire, della mia personalità: l’ambizione, il tentativo di usare gli altri a scopo politico, in generale l’egocentrismo e pensai anche a tutte le volte che ero stato male come conseguenza di questi miei difetti. Cominciai un lento processo di trasformazione, cercando di ‘vedermi’ e non essendo cieco a quello che ero. Venti anni dopo non credo che questo processo sia arrivato a termine,no di certo, ma certamente un po’ sono cambiato. Impegnarsi in politica implica, secondo me, alcune caratteristiche che non portano a calmare e pacificare le nostre predisposizioni mentali e a liberare la mente. Implica sviluppare, volenti o nolenti, l’ambizione personale, una certa dose di avversione, attaccamento alle proprie idee e ai propri risultati. E’ evidente che tutto ciò ha un alto potere inquinante e, per conoscenza personale, so che sarebbe la fonte di future sofferenze. Certo si potrebbero trovare tante obiezioni validisse a questo ragionamento. Non ho nulla in contrario, in generale, all’impegno sociale e politico, anzi. Non apprezzo il qualunquismo, il ‘sono tutti uguali’ , poiché non è così, molti politici sono persone degne. So soltanto che per quanto mi riguarda, e solo per quanto mi riguarda, una scelta del genere sarebbe nociva.
Mi si accuserà di esagerazione ma, sempre per quanto mi riguarda, mi sono davvero visto di fronte a una scelta fondamentale. O andare di qui o andare di là. Ed ecco la connessione con’Into the Wild’. Ho scelto di andare di qui, ho scelto la piacevole pratica dell’abbandono delle anbizioni , di vivere insomma nella landa relativamente desolata che è la mia mente (a volte) . Una landa in cui non solo non c’è nulla da conquistare ma in cui si gode giusto di questo nulla. Una landa in cui non solo non si ripropone la catena condizionante di ‘desiderio, afferramento, nascita’ [di concetti o situazioni ] ma in cui la non realizzazione di obiettivi, di conseguimenti ecc. , insomma il ‘non riuscire’ è visto come la massima pratica, il massimo conseguimento. Per non riproporre quello che tutte le politiche e le religioni (a parte il Buddhismo) ripropongono più o meno inconsciamente, senza consapevolezza (nel buddhismo questo è chiamato ‘ignoranza’) : il pregare qualcuno o qualcosa per ottenere qualcosa, fosse anche solo l’asservimento a questo qualcuno, sia pure nell’idea di ‘conseguire’ un’alta spiritualità’ . Sempre di afferramento si tratta, sempre di fascinazione si tratta. La fascinazione è una delle chiavi di questo mondo, non a caso definito a suo tempo da Guy Debord la Società dello Spettacolo. Bisogna starne alla larga per non riproporre la catena del sorgere condizionato di cui parlavo sopra. Fascinazione, desiderio, afferramento, sorgere. La vera pratica religiosa è quando tutto questo non viene in essere.
E’ strano questo. L’essere contenti di non ottenere nulla nella nostra pratica ‘spirituale’ . E’ abnorme, è contrario ad ogni aspirazione umana. In questo mondo siamo abituati a fare per ottenere. Anzi è così che SORGE IL MONDO. Eppure si deve guardare a questo con consapevolezza nella pratica, intenzionalmente, ED ESSERE CONTENTI DI QUESTA PRATICA POVERA. Questo è davvero ANDARE INTO THE WILD.
DOMENICA 10 FEBBRAIO INTENSIVO DI MEDITAZIONE A S. ANDREA DI COMPITO. ORARIO. 9 16,30.
Chi volesse fornire contributi su questo o altri argomenti legati alla meditazione può farlo sul forum del sito Emptiness, Vacuità, Madhyamika Meditation http://sinicus.altervista.org/. Anche le ultime discussioni vi sono state pubblicate, così come altre nuove. Si suggerisce di indicizzare il sito nella rubrica “preferiti”, data una certa difficoltà nel trovarlo diversamente.
Chi volesse ricevere Meditazione via e-mail scriva ad: asiaticus@tele2.it
Meditazione ogni sabato a S. Andrea di Compito, via della Torre n. 9, dalle ore 15,30 alle 16,10 circa cseguito di condivisione. La partecipazione è libera e gratuita. Tel. 0583977051 . CHIUNQUE E' BENVENUTO.
Loriano Belluomini
15-04-2014
Ancora una volta vi ringrazio di essere qui, malgrado il gran caldo; anche questo clima può essere salutare per qualcuno e comunque, rispetto ad altre condizioni nel mondo, non è un gran problema, è in ogni caso una buona occasione per attuare la nostra pratica di Dharma.
Poiché io sono un praticante di Dharma piuttosto modesto penso di aver bisogno delle difficoltà e se mi mancano mi pare di non aver nulla da fare. Com’è possibile praticare il Dharma quando va tutto bene? Invece, di fronte alle difficoltà, si ha l’opportunità di verificare immediatamente la qualità della propria pratica, perché il Dharma rende più intelligenti e di conseguenza abili nell’affrontare, gestire e risolvere i problemi.
In occidente la vera difficoltà alla pratica del Dharma è una vita troppo comoda in cui le persone si crogiolano, perdendo ogni memoria e consapevolezza della necessità del Dharma.
Ma l’esistenza è comunque soggetta a disagi e chiunque, prima o poi, deve confrontarsi con la sofferenza, e in quel momento la sonnolenza maturata nelle comodità fa apparire il più insignificante ostacolo come enorme. Nel Dharma invece ogni problema, anche il più greve, è in realtà minimo.
A livello pratico, di utilità immediata, il senso del Dharma si manifesta riducendo ad una piccolezza anche il guaio peggiore. In questo modo, addestrandosi nella pratica del Dharma, ci si libera dalla sofferenza e ogni scoglio, anche quello apparentemente insormontabile, si fa semplice, facilmente risolvibile, i problemi diventano non problemi, anzi qualche problema può rivelarsi una qualità.
Questo è il significato tangibile della pratica del Dharma:
1. la prima qualità è la capacità di ridurre i problemi, anche i più gravosi, ad un piccolezza;
2. la seconda è la liberazione dai problemi;
3. la terza è la scoperta che il problema si trasforma in alleato, in vero amico spirituale.
Dobbiamo sempre tenere a mente questi tre importanti effetti dell’utilizzo concreto del Dharma nella nostra esistenza.
Il praticante che prescindesse dall’utilità concreta della pratica del Dharma sarebbe solo un sognatore del nirvāna, del paradiso, della terre pure e dell’illuminazione.
Il vero praticante deve saper trasferire il Dharma concretamente nel quotidiano, affrontare ogni ostacolo, riconoscerne l’esiguità, superarlo nella libertà e infine trasformarlo in alleato.
I praticanti di Dharma di livello basso hanno la capacità di rendere piccole le difficoltà più grandi;
I praticanti di Dharma di livello intermedio hanno la capacità di superare i problemi trasformandoli in non-problemi;
I praticanti di Dharma di livello elevato hanno la capacità di considerare i problemi come amici da accogliere con sincera gioia, perché rappresentano un insostituibile alleato per la crescita spirituale.
La classificazione dei tre benefici della pratica consente di analizzare, valutare, riconoscere, lo stadio effettivo in cui si è.
I problemi non sono annullati dalla pratica del Dharma, perché sono parte intrinseca del samsāra che, altrimenti, non sarebbe samsāra, ma è il modo di affrontarli che determina la sostanziale differenza realizzabile nella pratica spirituale e nell’esistenza.
Il samsāra è confusione e sofferenza, quotidianamente, ma attraverso i tre aspetti della pratica del Dharma è possibile affrontare ogni ostacolo riducendolo, superandolo e accogliendolo come un caro amico che offre un prezioso aiuto nel cammino spirituale.
Quest’ultimo punto è particolarmente importante perché, finché non saremo in grado di concepire le difficoltà come amici, non riusciremo mai a liberarci dalla sofferenza. Non si tratta di eliminare o combattere gli ostacoli, ma di trasformare radicalmente noi stessi e i problemi.
Riflettevo questa mattina sulla guerra in Irak che da tre anni sta distruggendo la popolazione; la tragedia maggiore è il dissidio interno, l’incapacità di trovare un’intesa per formare un nuovo governo. Se i diversi gruppi etnici e religiosi del paese giungessero ad un accordo qualsiasi situazione indotta dall’esterno si risolverebbe facilmente, ne sarebbe per forza trasformata. L’impedimento più pesante è la contrapposizione tra le diverse visioni religiose, sciiti e sunniti, e dall’esterno si approfitta di questa divisione, nessuno sta realmente cercando di favorire la loro integrazione, eppure, se non si risolve questo nodo centrale, non si potrà mai costruire un governo democratico e i vecchi problemi aumenteranno inevitabilmente; è terribile vedere come queste persone invece di allearsi si ammazzino e si torturino vicendevolmente.
Che cos’è la pratica del Dharma? Non è certamente soltanto stare seduti, calmare la mente, essere concentrati e tranquilli e dimenticare tutti i problemi e i pensieri, perché se anche rimanessimo in questa pace per un lungo periodo ci ritroveremmo immediatamente dopo ancora più tesi di prima. A volte si possono osservare persone in meditazione che appaiono come rocce, strutture rigide prive di flessibilità, ma, terminata la sessione meditativa, riprendono le normali attività con agitazione, nervosismo, in una totale chiusura mentale.
La pratica di Dharma, la meditazione, dovrebbe aprire la mente, non restringerla, la felicità scaturisce da una mente flessibile, aperta, non da una mente rigida e serrata.
La meditazione non serve a formare la mente, ma a trasformarla, la differenza è sostanziale.
Il Bodhicaryāvatāra, una delle più grandi opere, è un immenso aiuto per trasformare la mente; il senso profondo del testo, così dettagliato, è perfettamente sintetizzato negli “Otto Versi di Trasformazione della Mente” e, meditando su di essi, meditiamo sull’intero Bodhicaryāvatāra.
Leggiamo dunque “Otto Versi di Trasformazione della Mente” con una motivazione profondamente altruistica, non con l’ambizione di diventare dei Bodhisattva, degli Arhat o dei Buddha, sarebbe un grossolano errore, ma con il sincero desiderio della gioia, della felicità, per tutti gli esseri senzienti, dobbiamo sviluppare l’umiltà.
In Tibet un famoso maestro kadampa disse: “l’essenza della bodhicitta contenuta negli Otto Versi di Trasformazione della Mente è tutto il Dharma”. Riferendosi a se stesso aggiungeva: “io sono una singola persona e ho un singolo bodhicitta e un singolo Dharma, ma questo Dharma è utile per tutta la realtà”.
E’ dunque meglio dimenticare i vari rituali, le cerimonie, le manifestazioni esteriori più complicate, perché ciò che ci serve è il singolo bodhicitta in grado di soddisfare ogni nostro desiderio.
Qualsiasi situazione difficile dobbiamo affrontare riflettiamo sugli Otto Versi perché in essi c’è la bodhicitta, l’essenza del Dharma, non occorre altro, non esiste un Dharma al di fuori di quello da praticare.
In alcune forme di pratica del buddismo pare di essere di fronte agli scaffali di una farmacia in cui sono ben allineati rimedi per ogni patologia, c’è un rituale specifico per ogni tipo di problema con relative istruzioni per l’uso, un vero supermercato.
Ma la pratica del Dharma non ha nulla a che fare con questo marketing totalmente inventato da noi.
Io vedo moltiplicarsi in occidente situazioni veramente bizzarre: centri di medicina tibetana, rituali ripetuti indipendentemente dalla comprensione del loro significato, Lama che fanno divinazioni, previsioni astrologiche, spettacoli di danza, ma in Tibet questo folclore commerciale non c’è mai stato.
L’autentica pratica del Dharma è tutt’altra cosa.
Anche i paesi asiatici più sviluppati, come Singapore, Taiwan, Giappone, hanno copiato il modello occidentale spacciando per buddhismo ciò che è solo spettacolo, fanno rituali pieni di colori, appariscenti e di notevole impatto, ma ai fini del Dharma è tutto assolutamente inutile, si va a teatro e basta.
In Tibet i più famosi praticanti erano i maestri kadampa, persone semplicissime e poverissime, che applicavano esclusivamente la bodhicitta.
In qualsiasi circostanza della vita, dormendo, lavorando, mangiando, passeggiando, sempre dobbiamo rammentare la bodhicitta, non solo quando siamo in una condizione di sofferenza, ma anche quando siamo felici, perché in quel momento la bodhicitta può rendere la gioia ancor più soddisfacente e significativa.
Tutti dovremmo partire dalla bodhicitta e poi, individualmente, cercare il cammino a noi più confacente per attuarla. Queste sono le fondamenta, perché in una società così confusa e piena di problemi non c’è nulla che sia effettivamente utile, nessuna meditazione o pratica, se non la bodhicitta. Al di fuori della bodhicitta ogni pratica è vana.
Rileggiamo ancora una volta il primo capitolo del Bodhicaryāvatāra che illustra i benefici della bodhicitta, passatevi il libro e leggete tre versi ciascuno. (pag. 2)
Molto bene, grazie, è un buon metodo, ognuno ripete qualche riga e insieme si completa il testo e se ne approfondisce il significato.
In particolare ora riprendiamo i versi 18 e 19:
18. Dal momento in cui assume quella mente per liberare l’illimitato regno degli esseri, con una decisione che non può essere revocata,
19. Da quel momento in poi, benché possa assopirsi o distrarsi molte volte, ininterrotti flussi di merito si riversano continuamente simili al cielo in fiamme.
Nei versi precedenti, 15, 16 e 17 sono specificati i due tipi di bodhicitta, dell’aspirazione e dell’impegno, e ora Sāntideva spiega i benefici che ne derivano, che consistono nella generazione della mente.
La nostra mente a livello ordinario è ferma, non ha nessun tipo di crescita, senza bodhicitta è come la mente di un bambino. Soltanto nella bodhicitta la mente si sviluppa.
La mente di un bambino focalizza l’attenzione su di sé e sulle poche cose che lo riguardano direttamente, il cibo e qualche giocattolo, ma applicando la bodhicitta la mente cresce, espande la visione della realtà nell’altruismo, non pensa più di essere al centro dell’universo, bensì in un insieme pieno di altri esseri. Nel verso 18 si descrive come generare questa mente:
18 Dal momento in cui assume quella mente per liberare l’illimitato regno degli esseri, con una decisione che non può essere revocata,
Come sviluppare la bodhicitta? Prendendo una decisione irrevocabile, senza tentennamenti. E’ una decisione che ha una durata infinita, non limitata a questa sola esistenza.
Una persona può prendere tutti i voti e i precetti di laico o di monaco, che però hanno un termine, possono durare sino alla morte, ma sono relativi a questa vita, invece la bodhicitta è per sempre.
La bodhicitta si sviluppa con una decisione irrevocabile: “da questo momento non penso più a me stesso, ma agli altri”, questa è la vera attitudine alla democrazia, non certamente quella che paesi potenti pretenderebbero di imporre altrove per difendere esclusivamente i propri interessi.
L’attitudine alla democrazia è altruismo, dedicarsi agli interessi della maggioranza, non in modo artificioso, costruito, ma spontaneo, naturale. E’ l’intenzione suprema che possa esistere nell’universo, è la qualità più grande che la mente umana può sviluppare ed è ciò che porta al massimo livello, gioia, tranquillità e pace.
Il Buddha è così speciale a causa della bodhicitta e non perché fa i miracoli. La bodhicitta può risolvere qualsiasi problema.
Non è facile prendere questa decisione irrevocabile, ma siamo aiutati dall’osservazione della nostra stessa esistenza in cui abbiamo sempre pensato solo a noi, al nostro interesse, senza sfuggire affatto alle sofferenze, anzi alimentandole. Abbiamo la prova evidente che questo atteggiamento non è stato di beneficio né a noi stessi né agli altri ed è dunque ovvia la necessità di recidere radicalmente l’attitudine egoistica e di dedicarsi agli altri esseri. Usciamo definitivamente dall’ atteggiamento sterile di “me… me… me…” ed entriamo nel mondo di “altri… altri… altri…”, questo è scambiare la sofferenza con la felicità. La sofferenza è pensare a me, la felicità è pensare agli altri.
E’ chiaro? È facile da praticare o difficile? Non costa nulla è completamente gratis, un meraviglioso dono dell’universo. La bodhicitta non può essere comperata in nessun negozio, non occorre alcuna autorizzazione, necessita solo della propria decisione.
Per diventare Lama o Vescovo è necessario il riconoscimento di autorità superiori che imprimano il timbro ufficiale, ma per diventare Bodhisattva non occorre nessuna concessione, nessun certificato, è il bene più prezioso, a completa disposizione, è spontaneo, un immenso valore spirituale, e allora perché non approfittarne immediatamente?
La nostra mente è veramente strana, andiamo in Via Condotti a guardare le vetrine cariche di oggetti costosissimi che desidereremmo possedere pur non avendo le necessarie disponibilità economiche e nella nostra dispersione mentale pensiamo che, dato il prezzo, valgano moltissimo. Le persone importanti arrivano su auto di lusso con tanto di scorta e i venditori di affrettano a spalancare le porte; comprano un gioiello, un abito costosissimo, ma alla fine cos’hanno? Nulla, anzi cominciano immediatamente a preoccuparsi di poter essere derubati, o di romperlo, o che si rovini e l’attaccamento nei confronti di questo presunto valore cresce a dismisura e assorbe tutta l’attenzione, è un atteggiamento totalmente infantile e sterile, veramente sciocco.
La bodhicitta invece è il valore supremo in grado di toglierci tutte le sofferenze, le difficoltà e noi, ciechi, non lo prendiamo, nemmeno ne conosciamo l’esistenza, non vediamo che è a portata di mano, immediatamente disponibile e gratuito, e preferiamo cercare un guru che magicamente ci liberi dai problemi, senza sapere che lo stesso guru probabilmente ne ha più di noi.
Questa è mancanza di spiritualità; la spiritualità è il principio di equanimità verso tutti gli esseri e tutte le cose.
Le persone pensano di cancellare il dolore dell’esistenza chiedendo miracoli a Tara o alla Madonna, ma è solo un’ulteriore illusione.
La soluzione alla sofferenza è in noi stessi. Preghiamo Tara, ma in realtà preghiamo la bodhicitta di Tara, è la bodhicitta che ha creato Tara e non il contrario. Preghiamo il Buddha, ma non è il Buddha che ha creato la bodhicitta, confezionata per bene, pronta ad essere distribuita, è la bodhicitta che ha creato il Buddha.
Dobbiamo riflettere a lungo su questo, perché pensare che le divinità creino la bodhicitta e poi lo distribuiscano alle persone è un pericoloso fraintendimento. La soluzione può realizzarsi solamente in noi, dobbiamo prendere la decisione irrevocabile di troncare l’abituale attitudine egoistica, causa di sofferenza, di insoddisfazione e di difficoltà di ogni genere per dedicarci completamente, gioiosamente e irrevocabilmente agli altri. E’ la scelta più giusta e proficua della vita, di questo tratta il Bodhicaryāvatāra e, nello specifico, al verso 19:
19.Da quel momento in poi, benché possa assopirsi o distrarsi molte volte, ininterrotti flussi di merito si riversano continuamente simili al cielo in fiamme.
Dall’istante in cui abbiamo assunto la decisione irrevocabile della bodhicitta, i meriti che ne conseguono continuano ad aumentare, indipendentemente da ciò che stiamo facendo, anche quando dormiamo o abbiamo pensieri non positivi.
E’ importantissimo essere consapevoli dell’inestimabile valore di questa decisione, e comprendere che, per quanto sia benefica ogni pratica e la meditazione, nulla ha l’efficacia e la potenza della bodhicitta. E’ un investimento formidabile, persino nel sonno o addirittura nell’errore, il capitale aumenta, l’importante è ricordarla ininterrottamente e, in ogni caso, non si deve temere di incorrere in terroristiche visioni di possibili inferni se la si dimentica, si può sempre ritornare ad essa e gli effetti saranno di incredibile potenza.
La pratica della bodhicitta non è fondata sulla paura, ma sulla comprensione, è una ricerca. Nel mondo moderno si fanno tantissime ricerche ma noi dobbiamo farne una sola, la bodhicitta, siamo praticanti di Dharma e dunque ricercatori spirituali della bodhicitta.
20.E’ ciò che il Tathāgata stesso ha spiegato con prove nelle Domande di Subāhu, a vantaggio degli esseri disposti verso il cammino inferiore.
Anche questo concetto è basilare, perché noi spesso ci limitiamo a pratiche di Dharma superficiali, appariscenti e gratificanti, che però incidono poco sulla nostra mente, ma è importante che comprendiamo la necessità di diminuire questo tipo di approccio dedicandoci maggiormente alla bodhicitta.
In occidente avete incrementato notevolmente qualità come intelligenza, coraggio, cultura, istruzione, ma non avete sviluppato per niente la bodhicitta e adesso è necessario dedicarsi a questo con naturalezza e decisione gioiosa.
L’antidoto naturale allo stress e alla depressione, che bloccano la crescita umana e che sono così diffusi nei paesi sviluppati, è la bodhicitta.
Concludiamo con la preghiera di dedica.
Lama Geshe Gedun
14-04-2014
L' universo è cresciuto e vuole farsi Dio
Essere santi senza Dio, questo è l'unico problema concreto che oggi mi interessa.
A.Camus
La psicosintesi ti accompagna alle porte del mistero, poi le varchi da solo. Questo insegnava Assagioli. Il cammino della realizzazione del Sé si colora in tanti modi, prende tanti nomi . Ma Assagioli ha anche scritto di un sé Universale, di un inevitabile processo evolutivo di sintesi. Quanti di noi ne parlano agli allievi ? Timore di non essere “scientifici”, di urtare la sensibilità religiosa, che nella nostra cultura é prevalentemente cattolica .
Dio che si fa uomo, uno e trino, il Padre che sacrifica il figlio. Di tutti i miti quello cristiano mi pare il più bello, il più complesso, il più felice dal punto di vista letterario. Incontra il bisogno di sacro, incontra le domande più spinose sul rapporto tra divino e umano, con una acrobazia creativa che il buddismo evita del tutto, rifiutando semplicemente di rispondere a certe domande. Ma non mi ha mai convinti fino in fondo, l'ho affiancato ad altri miti, ad altre cosmogonie.
Guidavo, una mattina come tante, accompagnate dalle riflessioni di un teologo , Tocci Michelin, che mi ha donato questa frase di Camus, su cui ha riflettuto a lungo , e come lui Enzo Bianchi, il priore di Bose. . E dopo tanti anni di dubbi, di spiritualismo agnostico, di universalismo relativista, d'improvviso mi è parso che le mie idee si accomodassero tra di loro, come in un incastro. Ma certo, non c' è nessun creatore dell'universo, è l'universo stesso che si crea, in una continua crescente complessità , tra mutazioni casuali, caso e necessità e , sempre più , INTENZIONE, l'intenzione che nasce dall' evoluzione della coscienza, puntini luminosi che crescono sempre di più sia in quantità che in intensità. Alcuni di questi diventano pezzi fondamentali del puzzle, ordinano attorno a sé altri pezzi, chiariscono il disegno generale ;ne nascono conglomerati luminosi, organi più complessi di coscienza, : li chiamano religioni, tradizioni sapienziali e sono satelliti nell'orbita di grandi coscienze. Certi periodi sono più favorevoli, in zone lontane dell'universo se ne accendono alcune che si chiamano Cristo, Budda, Maometto, Shankaracharia, Essi stessi si ingannano, parlando di un dio che sono loro stessi. Non so se lo fanno intenzionalmente, per aiutare coscienze più semplici. Il Simorgh, la fiaba persiana, lo dice in chiaro :moltissimi uccelli partono per un lungo viaggio alla ricerca del loro re. Ne arriveranno solo trenta: il Re degli uccelli sono i trenta uccelli che arrivano a destinazione. Il Simorgh sono loro: la cellula si scinde e si moltiplica fino a diventare un individuo cosciente, se la complessità continua quest' ìndividuo si connette ad altri, l'interdipendenza, la vacuità, l'' amore universale ne sono la manifestazione. E quindi cresce la coscienza , con essa la volontà di amore : come si può, se evoluti ,odiare se stessi ? E l'altro, chi è ? La formica che capisce il formicaio lo guida verso nuove forme. E' l'universo che crea Dio, in un processo laborioso, pieno di errori, perché scopre poco a poco il suo piano e lo modifica. “ Mi interessa capire come pensa Dio, il resto sono dettagli”. Questo scrive Einstein. E' come il bambino che si chiede come funziona il suo corpo e fa ipotesi, non parliamo poi della psiche che lotta per capire se stessa. Ecco perché i lumini, quelli più avanti, gli iniziati, insistono sulla coscienza di gruppo. Al liceo, quando le “spiegazioni “ sull'esistenza di Dio si susseguono l'una dopo l'altra, e , se non ci annoiavano di certo ci confondevano, mi parve che Spinoza fosse quello che più mi diceva ciò che confusamente pensavo. E mi torna oggi, quaranta anni dopo, grazie a un cd messo nell'autoradio per avere un po' di compagnia intelligente.
14-04-2014
Tiziano Terzani è morto. Quando muore un amico viene fatto di ricapitolare il nostro incontro con lui. Sapevo che si era aggravato e lo avevo sentito presente tutto il giorno, in tanti modi diversi. Era attesa la morte e quando è arrivata la notizia che se ne era andato proprio quel giorno ho sentito un'onda di serenità. Tutto sembrava giusto.
Il giorno dopo a Trento sono entrato in una libreria dal nome affascinante, "Disertori". Alla ragazza alla cassa ho detto, non so perché: "è morto Terzani, metta il suo libro in vetrina. Se lo merita."
La libraia, appena dietro, ha fatto un sospiro: "oh, mi dispiace davvero tanto."
Hanno messo il suo ultimo libro in vetrina.
In tanti hanno reagito come per la morte di un amico. Quando muore una persona perbene accade un fenomeno di riconoscimento, lo piangono in tanti, anche di idee diverse. Si realizza che posto occupava sulla scena della nostra vita. Successe con Berlinguer, ben al di là del popolo della sinistra. Per anni ho conservato la sua foto in braccio a Benigni.
Penso al Terzani con i baffi, giornalista che cercavo nei reportage su Repubblica: un uomo di successo, a cui l'espulsione dalla Cina aveva aggiunto un'aura particolare. Lo vidi in casa sua, ad Hong Kong: era indaffarato, parlammo un po' e mi affidò all'ospitalità gentile di Angela. I figli erano appena adolescenti, Folco voleva che gli parlassi di psicologia.
La cosa che mi colpì di più fu l'altare degli antenati che si erano portati dalla Cina. Mi era chiaro che non era un oggetto da collezione, era un altare. Non chiesi nulla.
Poi ci fu il grande successo di "Un indovino mi disse": lo lessi, lo regalai, me ne dimenticai. C'era qualcuno in cerca, lì dentro.
Anni dopo sulla cronaca locale vidi una foto di Terzani ad Orsigna, nella collina pistoiese. Decisi di andarci, perchè Pistoia mi è cara. Ma questo non è un perché. Sulla porta di ingresso c'era scritto. "le visite impreviste sono le meno gradite. H. Hemingway".
Mi rallegrai che non ci fosse e lasciai un libretto in inglese che avevo scritto a una filippina. Dimenticai di nuovo. Un paio di anni dopo trovai a casa una cartolina scritta fitta fitta, occupando ogni spazio possibile. Non capivo. Poi vidi che era una foto di Tiziano, in bianco e nero, fatta in Nepal. Decifrai la firma e l'invito ad andare a trovarlo ad Orsigna.
Come spesso gli capitava, poi si pentiva degli inviti perché voleva stare in pace, ma alla fine andai.
Aveva un fare da gattone nella conversazione, riusciva a farti parlare molto di te anche se non ne avevi voglia, sarebbe stato un buon psicoterapeuta.
Parlavamo dell'India, dissi che ci ero stato tante volte.
" E dove?"
" Un posto speciale per me è Almora, nelle Kumaon hills. Ci ho passato lunghi periodi, più volte".
Gli occhi gli si riempirono di lacrime. Lì aveva cercato rifugio, lì si era ritirato, come tanti prima di lui, in quelle montagne sacre. Mi dette una pazza allegria scoprire che l'uomo che gli portava i fax era il ragazzo con cui avevo fatto la prima amicizia indiana.
La conversazione cambiò registro, e diventò un lungo dirsi, tanto che restai a cena, poi a dormire. All'alba vidi nel giardino un cervo. seppi poi che veniva spesso, Tiziano gli lasciava del latte. Il mio libretto gli era piaciuto e si prese la briga di mandarlo al suo editore, che ora è anche il mio. Quello che mi toccò di più è che si fece lasciare il manoscritto e lo spedì lui, immagino dall'Ufficio Postale vicino a Orsigna, dopo averlo impacchettato. Insomma, non se la sbrigò con una telefonata o con una mail, se ne prese cura anche nelle incombenze più noiose, fece il pacco e appiccicò i francobolli. Dio è nei dettagli, ha detto qualcuno. Il vero prendersi cura, pure.
Prima di andare via eravamo amici. "Ti devo dire una cosa, ma mi devi promettere di non rivelarla a nessuno, neanche a tua moglie. Ho il cancro. Ed è la cosa migliore che mi sia capitata nella vita."
Una grande calma nella stanzetta di legno. Tenni il segreto per anni, neppure era IN SE' la cosa più importante di cui parlare, quando ci si incontrava. Era un argomento stranamente periferico, il motore di tante altre cose. Non lo si evitava, ma c'era sempre qualcosa di più importante.
Era la ricerca spirituale che gli premeva.
L'Afganistan lo stanò dalle montagne, mesi di polemiche assurde per quella che era solo un'analisi fuori dal coro, tutto sommato di moderato buon senso. Il dopo undici settembre, la vergogna provata quando in un ospedale un vecchio a cui aveva regalato dei biscotti gli dice. "ci bombardate e poi ci date i biscotti."
Quando esce "Lettere contro la guerra " Tiziano lo presenta ovunque lo invitino, nei circoli ARCI, nelle scuole. Una generosità assoluta, un mettersi a disposizione che gli ha fatto incontrare un mondo di giovani. Non va nei talk show. Sul palco è una forza della natura, polemico e carismatico, provocatore e seduttore: parla "bene" del burkha e male della democrazia. Diventa un icona del movimento no global, ritorna in pieno Tiziano Terzani, dopo tanti sforzi per diventare Anam, il senza nome, negli ashram indiani dove pratica la via del sannyasin, quello che rinuncia al mondo. Il libro, scritto velocemente, e dedicato al nipote Novalis, va in testa alle classifiche: buon segno, combatte alla pari con quello della Fallaci, espressione dei sentimenti ostili e bellicisti delle coscienze meno evolute. Sì, è quello che penso.
Poi di nuovo in India, nel suo ritiro, a terminare l'ultimo libro, "Un altro giro di giostra", a prepararsi al passaggio. Sono ancora suo ospite a Dehli, giornate allegre, mercatini e ristoranti e chiacchiere e un senso di famiglia, con Angela.
L'ultimo incontro a Bellosguardo, in quella bella casa che è la sintesi della loro vita, con colonne del Gujarat e vecchia toscana. Ha la generosità di criticare un mio libro che non gli è piaciuto; chi mai glielo fa fare, ha altro a cui pensare. Sarebbe così semplice smussare o glissare, ma non sarebbe onesto: lo fa in un modo impetuoso, mi dice cose che, al di là del libro, mi ricorderò, spero, come una bussola nella vita. Dove è meglio morire, questo discutiamo. Mi arriva pochi giorni dopo una delle sue cartoline fitte fitte, è un acquarello che ha dipinto in India, si vede l'interno del suo rifugio, la fiamma di una candela, il panorama dalla finestra. Il dentro e il fuori.
Mi augura buon viaggio. E io a te, dolcissimo amico.
14-04-2014
Un mezzogiorno torrido dell'ultima estate: sulla statale 71, tra Arezzo e Cortona: all'altezza del centro commerciale di Olmo c'è un camion che occupa tutta la piazzola. Accanto al camion è inginocchiato l'autista, che ha steso un tappetino sull'asfalto e prega. Rallento per vedere meglio, poi mi sento indiscreto e accelero, ma lo porto con me. Quell'uomo viaggia, quell'uomo prega: ogni volta per lui è (anche) un viaggio dello spirito. Non ha bisogno di un luogo dello spirito, perchè lo porta con se, non lo dimentica. Però, penso, essendo musulmano, avrà fatto anche il pellegrinaggio alla Mecca, o magari starà mettendo da parte i soldi per farlo, ottemperando a uno dei cinque pilastri della fede islamica Quindi è vero che l'esperienza spirituale è anzitutto interiore, ma vi sono situazioni che la rendono più facile.
Alcuni paesi, alcuni luoghi, sembrano più adatti per questo tipo di viaggio, sono più "specializzati" nel campo della spiritualità. Non è la stessa cosa andare a Las Vegas o sui monti del Casentino che hanno visto camminare Francesco D'Assisi. Lo spirito sembra star bene in montagna, ma non disdegna le città sacre, e di certo ama il deserto. I luoghi hanno una storia che diventa la loro peculiare atmosfera. Le chiese si sovrappongono a templi pagani, e chissà cosa ci si costruirà tra mille anni. Si ascolta il silenzio e la forza dei paesi dove la ricerca interiore ha radici profonde e terreni favorevoli.
Molti cercano in Asia, altri,magari per aver letto i libri di Castaneda, sono andati in Sudamerica su piste sciamaniche, fino ad addentrarsi in Amazzonia cercando la saggezza delle piante.
E' la rivincita del pellegrinaggi, ogni comune rivendica il passaggio della via francigena, i monasteri abbandonati vengono trasformati in alberghi di lusso e, sotto mentite spoglie, continuano ad attrarre persone che cercano qualcosa di diverso da quello che credono. Le persone pigliano le ferie per partecipare a ritiri di meditazione delle più diverse tradizioni. Non manca un aspetto consumistico, per cui si passa dagli sciamani siberiani ai monaci buddisti con la stessa attitudine per cui non si tornerebbe due anni di seguito nello stesso paese perchè (crediamo) lo abbiamo già visto. E' l'illuminazione "tutto compreso": complesse pratiche iniziatiche vengono semplificate e stravolte per un più facile consumo, che non dà niente.
I deserti africani continuano a richiamarci, anche se si va col fuoristrada e non a piedi, come gli anacoreti. Saint Exupery ha scritto una volta: "io valgo nel deserto quello che valgono le mie divinità". Il pellegrinaggio tradizionale si è ibridato con il turismo. I luoghi dello spirito sono vicini talvolta alle discoteca. Penso all'isola più turistica del mondo, Bali, reclamizzata come "l'isola degli dei": i turisti partono dalle spiagge (brutte) di Kuta e Legyan per seguire i Balinesi sulle pendici del vulcano sacro, l'Agung. Più o meno goffamente vestiti "da cerimonia" si recano a Besakhit dove la lava di una catastrofica eruzione si fermò alle soglie del tempio non prima di avere distrutto l'arco trionfale che Sukarno si era fatto costruire, dopo aver spostato a suo comodo una cerimonia che si tiene ogni cento anni. I sacerdoti non se ne erano andati e, nonostante il pericolo, erano rimasti a pregare in quello che è il tempio più sacro dell'isola. Sukarno fu destituito poco dopo.
Per i Balinesi la questione è semplice, vi sono cose che si vedono e cose che non si vedono, sekala e niskala, ma sono sempre presenti, l'una accano all'altra. Basta esercitare la sensibilità e gli dei ci parleranno ancora.
E così dopo molti secoli il cammino di Santiago ritrova i suoi pellegrini (ma li ha mai persi?), le parrocchie organizzano timbri e posti tappa per i gruppi organizzati, ci si potrà incontrare Romano Prodi in bicicletta o Shirley Mac Laine. Per fortuna che tanti vanno da soli e, quando arriveranno a firmare il famoso libro alla cattedrale, alla domanda "perchè hai fatto il cammino?" risponderanno: "non so".
I luoghi dove da sempre l'umanità si raccoglie in se stessa richiamano nuove folle, meno irregimentate e forse anche consapevoli del perchè sono lì, come i due milioni di ragazzi di Tor Vergata, i Papa Boys. Come mai oggi non si trova un posto nelle foresterie dei monasteri se non ci si prenota con mesi di anticipo?
Vi è poi una forma di pellegrinaggio senza religioni: i sentieri di montagna si riempiono di viandanti che vogliono solo silenzio e bellezza. Ci si fa curare l'anima dalla bellezza.
La Piana del Castelluccio vicino a Norcia si riempie di fiori ogni anno, Zeffirelli ci girò scene di "Fratello sole e sorella luna". I Monti Sibillini sono pieni di segreti e la gente si avventura verso l'antro della Sibilla, curiosi, negromanti e studiosi dei peculiari fenomeni magnetici della zona.
Il mio luogo dell'anima non è certo originale: è l'India. I primi viaggi negli anni settanta significavano: l'avventura, finalmente qualcosa del tutto diverso da casa, ma anche vita che non costava niente, esotismo. Non c'era neppure troppo bisogno di sostanze psichedeliche per espandere la coscienza, l'India è psichedelica di per sé.
I Beatles andavano a meditare a Rishikesh, la città dei saggi, dove Madre Ganga incontra la pianura e ci andammo anche noi. Ma ci spingevamo anche al sud, magari nel gran tempio di Madurai, ove ti porgevano vassoi di fuoco che sfioravi con le mani portandole alla fronte. Al contrario di altre religioni, induista non si può diventare, lo si può essere solo di nascita: un bel sollievo, una religione temporanea, da viaggio. Alcuni, quando le nevi si scioglievano, risalivano verso le sorgenti del Gange, si mescolavano ai pellegrini, visitavano le città sacre, che hanno spazio per tutti e non fanno entrare nessuno nell'ultima stanza del tempio.
Varanasi, detta anche Kashi, la luce, accoglie tutti: sui ghat, tra i sadhu, vidi anche qualcuno che una volta, tanto tempo fa', era stato un occidentale. Molti cercavano un guru troppo famoso a Poona, o qualcuno che i media non avessero ancora scoperto. Al mio primo viaggio fui ospite ad Amritsar dei Sikh assieme a pellegrini e mendicanti, in uno stanzone nel recinto del Tempio d'oro, il luogo più sacro della religione Sikh. Le guardie armate ci proteggevano. Anni dopo Indira Gandhi lo cannoneggierà, seminando l'odio che le costerà la vita. La religione coabitava con le peggiori nefandezze, quindi nessuna idealizzazione. L'avidità prosperava anche in India, "ma almeno", mi disse un mercante, "in fondo alla cassaforte noi teniamo un'immagine della dea Lakshmi e le accendiamo un incenso, per ringraziare".
Più a nord la catena dell'Himalaya, dove Shiva fuma i suoi chilom. Qua c'è la montagna sacra che Messner non avrebbe mai scalato, il Kailash: i pellegrini lo circumambulano, alcuni facendo continue prostrazioni, per tutto il percorso. I cinesi, con tipico pragmatismo, tollerano, purché si paghi. Sui picchi del Ladakh, sui passi del Tibet le bandiere di preghiera mosse dal vento mandano le loro benedizioni a chiunque ne verrà sfiorato. La mia guida mi portava di monastero in monastero, bevevamo il tè col burro rancido accolti con un sorriso pieno di compassione per la nostra ignoranza da grandi lama. Non capivo niente delle danze sacre delle maschere, mi guardavo d'intorno e vedevo altri occidentali che venivano a farsi sfiorare dal vento dell'anima. E "anima" non viene forse da anemos, vento in greco?
Il pellegrinaggio più affollato fu quello alla Kumbha Mela di Allahabad, la più grande festa religiosa del mondo: in un mese settanta milioni di pellegrini camminarono sulle rive polverose dove tre fiumi si incontrano, uno dei quali, Saraswati, scorre invisibile sotto gli altri due. I Naga Sadhu hanno il diritto di bagnarsi per primi nei giorni propizi, e lo difesero con il vigore dei guerrieri della fede. Scenografie da film di Bollywood ospitavano i guru più famosi, altri si contentavano di stand da fiera paesana, la musica andava avanti giorno e notte. Il campo di Vishnu Hindu Parishad era quello degli integralisti fanatici che avevano distrutto la moschea di Ayodya: si temevano attentati e l'esercito vigilava. Io dormivo lì, tra un paio di colonnelli venuti alla più grande delle feste induiste.
Anche il Nepal ha importanti luoghi sacri: c'è un lago dedicato a Shiva, dove in Agosto si riuniscono gli sciamani Tamang. Giorni di cammino sotto la pioggia torrenziale del monsone, ma quando si sentono i tamburi e gli sciamani arrivano danzando, ci si accorge del dono che si è ricevuto sulle rive del lago, oltre i quattromila metri. In poche ore si raduneranno diecimila persone, e non conterà il disagio del cammino o la gran fogna a cielo aperto che diventerà il prato, e non ci si vorrebbe cambiare con i ricchi nepalesi che arrivano l'ultimo giorno con l'elicottero.
No, nei viaggi dello spirito camminare è importante, non ci vuole troppa fretta, occorre tempo per ritrovarsi, che si vada dai Dogon del Mali, nelle riserve Navajo, all'Averna o dalle sciamane della Siberia.
A volte l'uomo sente il desiderio di mortificarsi, sensualità travestita da pentimento e contrizione: ecco allora i flagellanti di tanta cristianità, le tortura autoinflitte al Kataragama di Sri Lanka, i fachirismi. Mi sembrano un braccio di ferro con Dio: vediamo se ce la faccio, chi mai sarò più pio di me? Un po' di sacrificio però ci vuole: me lo dissero due operai della Piaggio che andavano da una mistica veggente, Natuzza di Paravati. Certo, avrebbero potuto prendere l'aereo, ma preferivano il viaggio lungo e scomodo del treno e delle corriere calabresi "sennò non sarebbe la stessa cosa".
Dove la natura è grande l'uomo scopre che sarà forse misura di tutte le cose, ma certo in proporzione a ciò che lo circonda è misura assai meno grande di quanto tende a credere.
E nel piacere di riscoprirlo si fa quello splendido pellegrinaggio un po' animista, un po' panteista, che chiamano trekking.
Forse basterebbe sollevare lo sguardo. Dante ha scritto "a non guardare il cielo si fa peccato", non ha detto "è un peccato non guardarlo". Ma che peccato è? Forse l'orgoglio di chi si dimentica delle giuste proporzioni. Lo spazio, più che conquistarlo, andrebbe forse solo tenuto presente, nelle nostre coscienze.
Tra gli dei antichi mi piace Ermes, che lascia tracce di sé nelle pietre dei crocicchi. Mi fa credere che, se Dio c'è, di certo viaggia.
14-04-2014
Mi chiedo se non è Dio che parla nella preghiera, e l'uomo è chiamato a rispondere. Insomma, tutto il contrario dell'apparenza. Forse anche molto più interessante, un gioco di rimandi e specchi che velando svela.
Dio ama i travestimenti e parla molte lingue: eccone alcune.
Religione Sikh (Guru Arjan, India 1563-1606)
(...) Tutti i tesori e i diciotto poteri soprannaturali
tiene il Signore nel palmo della sua mano.
O Signore, la tua immensità non ha confini.
Anima mia, scendi cantando il nome di Dio nelle acque profonde dell’oceano del cuore, mai privo di gemme.
Scendi di più e ancora di più, fintanto che non avrai le perle preziose.
Anima mia, nell’oceano della Conoscenza si trova la perla del regno: cercala sotto la guida del maestro, prendila con rispetto.
Numerose sono le gemme sparse sul letto dell’oceano, immergiti ancor di più: le troverai in quadrupla abbondanza.
Preghiera Buddhista
Sofferente e debole, sono giunto sulla cima della montagna,
seduto sulla roccia fa discendere nel mio cuore il soffio della liberazione,
Signore,
donami la triplice saggezza,
che io possa giungere al termine del sentiero di Buddha.
Illuminazione nel Buddhismo (V-VI sec. a.C., Tibet)
O Santissimo!
Tu sei sempre stato assorto in tranquilla meditazione.
Tu ci riempi di stupore.
Signore Santo!
Ti preghiamo perché Tu faccia svanire il nostro smarrimento.
Ti preghiamo perché possiamo essere illuminati in questa vita.
Ti preghiamo perché, quando rinasceremo, possiamo tornare in questo mondo
Per aiutare gli altri.
Signore Santo!
Noi dedichiamo la nostra vita ad aiutare gli altri in riconoscenza al nostro Signore il Buddha.
Lode alla Suprema Realtà Buddhismo (Nagarjuna, II-III sec. d.C.)
Come posso lodarti, Signore, tu che non sei nato e non risiedi in alcun luogo,
tu che sorpassi ogni comparazione mondana, che trascendi la strada delle parole!
(...)
Privo, per natura, di nascita, in te non c'è nascita, non andata, non venuta.
Lode a te, signore, a te senza natura propria!
Tu non sei né un essere, né un non essere,
né impermanente, né perenne, né eterno, né non eterno.
Lode a te, Signore, a te senza dualità!
(...)
Tu non sei né grande né piccolo, né lungo né rotondo.
Tu hai raggiunto il piano del non-limite.
Lode a te, o Signore, che non risiedi in alcun luogo.
Tu non risiedi in alcuna entità, sei assurto nel piano dell'assoluta realtà.
Lode a te, o profondo!
Con questa lode possa tu essere lodato.
Ma , in realtà, sei stato lodato?
Se tutte le entità sono vuote, chi mai è lodato? E da chi è lodato?
E chi ti può lodare, tu privo di nascita, tu dove nobn c'è né fine né mezzo, né percezione, né percepibile?
Io ho lodato chi non è andato né venuto, il Bene assoluto, privo do ogni andare.
E i meriti che ho ottenuto con questa lode possano aiutare questo mondo
ad avanzare sulla strada deo Bene assoluto.
Inno al calare delle tenebre (Cristianesimo, Sant’Ambrogio, IV sec)
O Dio dell’Universo, gli astri movendo in cielo,
il giorno rivesti di luce e il sonno propizi alla notte.
A Te eleviamo l’inno della sera.
Te canti il profondo dell’essere, Te risonando celebri la voce,
il palpito casto dei cuori ti cerchi, semplice e chiara la mente ti adori.
A Cristo e al Padre salga la preghiera,
salga allo Spirito del Padre e di Cristo:
unico Dio, trinità beata, del tuo amore riscalda chi ti implora.
Guida i miei passi (Cristianesimo, Giovanni di Fécamp)
Tu sei il mio Dio vivo e vero, il Padre mio santo, il Signore mio amorevole,
il grande mio sovrano, il giudice mio giusto, l’aiuto mio eterno,
la guida mia alla patria, la luce mia vera, la dolcezza mia santa, la via mia diritta,
la sapienza mia più splendida, la semplicità mia pura, la concordia mia pacifica,
il custode mio sicuro, l’eredità mia buona, la salvezza mia eterna,
la misericordia mia grande, la pazienza mia fortissima,
la vittima mia immacolata, la redenzione mia compiuta,
la speranza mia eterna,
la letizia, esultanza e visione beatissima che senza fine dovrà restare.
Io ti prego, ti scongiuro e ti supplico: per mezzo di te fa che io muova i miei passi,
sii tu il sostegno, sii tu la guida,
a te fammi giungere e riposare in te,
via, verità e vita.
Niente ti turbi (Cristianesimo, Teresa d’Avila)
Niente ti turbi,
niente ti rattristi.
Tutto dilegua,
Dio solo non si muta.
Con la pazienza
tutto ottieni.
Non manchi di nulla
se hai Dio nel cuore.
Il suo amore basta.
Tardi ti ho amato (Cristianesimo, Agostino, Confessioni, X, 27-38)
Tardi ti ho amato,
bellezza tanto antica e tanto nuova,
tardi ti ho amato!
Tu eri dentro e io ero fuori,
e lì ti cercavo e privo di bellezza com’ero,
mi gettavo sulle bellezze da te create.
Tu eri con me, ma io non ero con te.
Da te mi tenevano lontano
Cose che, se non fossero in te, non sarebbero.
Hai gridato, mi hai chiamato,
hai spezzato la mia sordità.
Sei balenato, apparso nel tuo splendore.
Hai scacciato la mia cecità,
hai diffuso il tuo profumo.
Io l’ho respirato, e ora anelo a Te.
Ti ho gustato, e ora ho fame e sete di Te.
Mi hai toccato, e ora sono infiammato della Tua pace.
Se non fossi tuo (Cristianesimo, Gregorio di Nanziano 330-390)
Se non fossi tuo, mio Cristo, mi sentirei creatura finita.
Sono nato e mi sento dissolvere, mangio, dormo, riposo e cammino,
mi ammalo, guarisco, mi assalgono senza numero brame e tormenti.
Godo del sole e di quanto la Terra fruttifica;
poi muoio e la carne diventa polvere, come quella degli animali che non hanno colpe.
Ma io che cosa ho più di loro? Nulla più se non Dio.
Se non fossi tuo, mio Cristo, mi sentirei creatura finita.
Quando il pensiero di te (Cristianesimo, Soren Kierkegaard, Diario)
Padre celeste!
Quando il pensiero di te si risveglia nell’animo nostro,
fa che non sia come un uccello sbigottito che non sa volare,
ma sia come un bambino che si risveglia con un sorriso celeste.
Il richiamo del Muezzin (Islam)
Dio è il più grande.
Testimonio fermamente che non esiste dio se non Dio.
Testimonio fermamente che Muhammad è l’inviato di Dio.
Venite alla preghiera, venite alla salvezza.
Dio è il più grande.
Non esiste dio se non Dio.
I novantanove bellissimi nomi di Dio (Islam, litania araba del VII sec)
1. il Benefattore
2. il Misericordioso
3. il Re
4. il Bello
5. la pace
6. il Fedele
7. il Protettore
8. il Potente
9. il Riparatore
10. il Grande
11. il Creatore
12. Colui che opera
13. Colui che organizza
14. l'Indulgente
15. il Dominatore
16. il Donatore
17. il Dispensatore
18. il Vittorioso
19. la Conoscenza
20. CVolui che apre i cuori
21. Colui che chiude i cuori
22. Colui che abbatte
23. Colui che innalza
24. Colui che dà la dignità
25. Colui che la toglie
26. l'Incrollabile
27. il Santo
28. il Degno di lode
29. l'onniscente
30. il Principio
31. Colui che risusciterà le sue creature
32. il Creatore della vita
33. il Creatore della morte
34. il Vivente
35. l'Opulento
36. l'Inventore
37. l'Immutabile
38. l'Unico
39. l'eEterno
40. ilPietoso
41. il Caritatevole
42. il Prudente
43. Colui che produce
44. Colui che previene
45. il Primo
46. l'Ultimo
47. Colui che è manifesto
48. Colui che è nascosto
49. Colui che conforta
50. il Degno
51. Colui che tutto vede
52. Colui che a tutto è attento
53. il Giudice
54. il Giusto
55. il Sottile
56. l'Osservatore
57. il Clemente
58. il Magnanimo
59. il Piacevole
60. il Magnifico
61. il Glorificato
62. il Custode
63. Colui che nutre
64. Colui che tutto intende
65. il Maestoso
66. il Generoso
67. il Saggio
68. Colui che veglia
69. Colui che esaudisce
70. il Meraviglioso
71. il Pieno di amore
72. l’Onnipotente
73. il Testimone
74. la Verità
75. il Forte
76. la Legge
77. il Perdono
78. il Giustiziere
79. il buono
80. l'Amabile
81. il Padrone degno
82. il Signore di maestà e generosità
83. l'Equo
84. Colui che raduna
85. Colui che basta a se stesso
86. il Ricco
87. Colui che detiene i beni
88. Colui che li ripartisce
89. Colui che li distribuisce
90. la LUce
91. Colui che dura per sempre
92. il Glorioso
93. l'Universale
94. la Guida
95. l'Immanente
96. il Perfetto
97. il Sublime
98. il Paziente
99. il Dolce
Il centesimo nome rimane ineffabile
conosciuto solo da colui
a cui Dio lo comunica.
Dio è la luce (Islam, Corano, sura XXIV)
Dio è la luce dei cieli e della terra. Illumina come una lampada accesa nel cristallo, il suo chiarore è quello di una stella.
La sua luce viene dall’albero benedetto, ulivo che non appartiene né all’oriente, né all’occidente.
Il suo olio si accende appena è avvicinato dalla fiamma, , produce dei raggi sempre rinascenti.
Scambiatevi il saluto della pace; entrando in una casa invocate le benedizione del cielo, Dio vi mostra il suo insegnamento perché possiate comprendere.
Dio è il signore del cielo e della terra, conosce il vostro essere , un giorno comparirete davanti a Lui, vi mostrerà le vostre azioni; la sua conoscenza non ha limiti.
Il Canto del Beato
Il Signore disse:
fra coloro che conoscono l’essenza divina
sono Brama, il dio nato da se stesso
il cui volto volge ovunque.
Fra coloro che posseggono la Maya, l’Illusione,
sono Hari, il dio antico, eterno.
Fra gli Yoghi, sono Sambhu.
Fra le donne, sono la Dea,
figlia del re delle montagne.
Fra gli dei della natura, sono il Fuoco,
fra gli esseri divini e terribili sono Shankar.
Fra gli uccelli sono Garuda,
fra i guerrieri, sono Rama,
Fra gli dei luminosi sono Indra,
Fra gli dei inferiori, sono Vinayaka.
fra le montagne, sono il monte Meru,
Fra gli astri sono Chandra, la Luna,
Fra i proiettili sono il fulmine,
fra le osservanze pie, sono il giuramento,
Fra i serpenti, sono il dio Annata,
Fra i Signori, sono il Signore Supremo.
Fra le quattro età del mondo, sono l’età d’oro,
Fra le grandi divisioni della Terra,
sono il continente chiamato Loto.
Fra i geni, sono Kubera, il re dei tesori,
Fra gli impetuosi, sono Vayu, il vento,
Fra i re degli animali, sono il leone,
Fra le armi , sono l’arco,
Fra i Veda, sono il Veda delle melodie sacre,
Fra le preghiere mormorate, sono la Savitri,
Fra gli emblemi segreti, sono la santa sillaba OM,
Fra gli elementi, sono l’Etere,
Fra le realtà, sono la morte, Yama,
Fra le trappole, sono la Maya, l’Illusione,
Fra le forze che spingono, sono il Tempo,
Sono la liberazione,
Sono il Supremo Signore.
Tutte le anime sono gli animali del mio gregge
Sono il loro Divino Padrone,
per questo sono chiamato dai saggi il Pastore.
Conosco tutto
E nulla mi conosce.
(estratto dell’Ishvara Gita, Kurma Purana)
La preghiera di Dio (Antico Testamento, Isaia 49,16)
Ecco, ti ho disegnato
Sulle palme delle mie mani.
Leviamo alla vera luce
Leviamo alla vera Luce, alla Luce eterna principio di ogni cosa l’inno della nostra gratitudine.
Tu sei la Luce intatta , la Luce incontaminata, che genera gli universi.
Tu sei la Luce di ogni essere che viene all’esistenza, l’intima luce di ognuno di noi.
Tu sei l’Unico, il Primo e l’Ultimo, colui che apre E chiude le porte della vita.
Colui che comanda la morte, che infiora di vita le vie della morte.
Vogliamo sentirti vicino sempre, ad ogni passo, in ogni istante.
Accendi in noi la fiamma della Conoscenza, la gioia della tua Luce.
A Te affidiamo la nostra volontà, nelle tue mani affidiamo le nostre opere.
Davanti a Te deponiamo il cuore della nostra coscienza: la sete di beatitudine.
Accoglilo come segno d’amore, come suprema consegna di noi a Te.
O Amante degli uomini, o Amico di ogni creatura!
Guidaci oltre l’oceano della morte, nel porto della vera vita.
Dal rituale ebraico
L’anima dei viventi benedica il tuo nome, o Eterno Dio nostro,
il respiro di ogni carne adorni ed esalti la tua presenza,
o nostro re.
Dio dei primi e Dio degli ultimi, Dio di ogni essere creato,
Dio di ogni cosa che nasce , Dio che guidi l’universo con misericordia,
e le tue creature con pietà.
Dio vigilante Dio che risvegli i dormienti, che doni la parola ai muti,
liberi gli inceppati, che sostieni chi cade e raddrizzi chi è curvo,
te solo ringraziamo.
Il corpo che ci hai dato, il respiro e l’anima Che in noi insufflasti,
la lingua che ponesti nella nostra bocca, ti ringrazieranno e adoreranno,
faranno regnare il tuo Nome , o nostro Re.
Non abbiamo parole (Religione africana, preghiera Kikuyu tradizionale del Kenia)
O Padre, Grande Anziano, non abbiamo parole per ringraziarti,
ma nella tua profonda saggezza siamo sicuri che tu vedi
il valore che diamo ai tuoi doni preziosi
O Padre, quando guardiamo alla tua grandezza, siamo confusi di sacro timore
O Grande Anziano, che comandi a tutte le cose in cielo e in Terra,
noi siamo i tuoi guerrieri, pronti ad agire secondo la Tua volontà.
Canto di protezione (Preghiera tradizionale dei Gugi Giamgian, Etiopia)
Scendi dall'alto, dammi i beni, sollevami in alto.
Ascoltami.
Liberami dai burroni della terra. Fammi uscire dai burroni e liberami.
Fà che io non abbia vacche senza latte. Fà che non muoia.
Proteggi mia moglie. Proteggi i miei beni.
Ti sia gradito tutto quello che ho.
Sii per me maestro (Zoroastrismo, Yasna 28 di Zarathrushta, VI sec. a.C. circa)
Tu che eternamente proteggi il Vero e il Buon Pensiero,
sii per me maestro, Mazda Signore,
perché io possa da te aver parola,
coi detti scaturiti dal tuo spirito e dalla tua bocca.
Da questo il mondo sarà fatto nuovo.
Pace profonda (cultura celtica, medioevo irlandese)
Su di te la pace profonda dell'onda veloce
Su di te la pace profonda dell'aria pura
Su di te la pace profonda della placida terra,
Su di te la pace profonda delle stelle lucenti,
Su di te la pace profonda del Figlio della Pace.
Amen
Lode ad Ammon (Religione egizia, II millennio a.C.)
Tu puoi saziare anche chi non abbia mangiato.
Tu puoi inebriare anche chi non abbia bevuto.
Il mio cuore è nella gioia, il mio cuore desidera vedere Te, Ammon,
protettore del povero, Padre di chi non ha madre, sposo della vedova.
Quanto è dolce pronunciare il tuo nome!
E' come la gioia di vivere, il sapore del pane per il bimbo,
il vestito per chi è nudo,
il frutto assaporato nella calura, il soffio di brezza per chi è prigioniero.
Mantra dell'unificazione
I figli degli uomini sono un Essere solo
E io sono Uno con essi.
Io cerco di amare e non di odiare,
io cerco di servire e non di esigere il servizio dovutomi,
io cerco di sanare e non di nuocere.
Che il dolore rechi il debito compenso di Luce e di Amore,
e che l’anima domini la forma esterna,
la vita ed ogni evento
e porti alla luce l’Amore che sta dietro
a tutto ciò che sta ora accadendo.
Ci siano date visione e intuizione,
il futuro sia svelato,
L’unione interna si manifesti e le scissioni esterne svaniscano.
Che l’Amore prevalga,
che tutti gli uomini amino.
14-04-2014
Ci si sente strani, oggi nell'isola, in questa primavera bombardiera. Massimo Cacciari faceva alla radio una lucida analisi, appassionata e sgomenta, come quella di un bravo professore che non può capacitarsi che le menti non realizzino ciò che è davanti agli occhi di tutti. Il giornalista lo lasciava parlare poi alla fine, per una chiusa "umana" gli ha chiesto: "come persona, lei che prova?"
Pausa: "che la mia vita è stata del tutto inutile". L'intervistatore non sapeva come riprendersi: "ma, non direi proprio, non credo". "Ci creda". Fine della telefonata.
Ci si sente strani qua nell'isola.
L'inutilità, mi piacerebbe credere che non è così: siamo usciti dall'isola, poche significative sortite: le botte rischiate al G8, mentre la Cupola decideva delle nostre vite blindata nella zona rossa e i suoi cani mordevano tutto quello che passava, spingevano i manifestanti verso il mare.
Poi la fiumana di Assisi (anche lì diretta negata, se non sbaglio), poi le prime carrettate di e-mail, la bandiera appesa e strappata e appesa, il piacere di vedere le città colorarsi. Poi le meditazioni, "I figli degli uomini sono un essere solo", recita il mantra che il mio Maestro ci insegnava in lontani pleniluni.
E Rumsfeld che alla conferenza stampa dopo avere spiaccicato Bagdad dice: "vedrete cose che non avrete mai visto", imbonitore dello spettacolo di fuochi più grande della storia dell'uomo. Per di più dicendo che non è mica come nella seconda guerra mondiale, qua ci sono le armi appropriate, si distrugge solo quello che si vuole distruggere: tutto.
Non è che ci pigliano per fessi, è che non gliene frega nulla delle bandierine, del mio digiuno col Papa, che d'ora in poi scrivo con la maiuscola. Di quel poco che abbiamo fatto qui nell'isola, sempre più tentati dal muro di oblio, dal canticchiare con le mani sulle orecchie per non sentire i botti, bè, l'unica cosa che rifarei convinto è il digiuno con il Papa. Una purificazione da niente, ma almeno per tutto il giorno ricordavo, e poi, se sui piani reali non sembra che si combini nulla, muoviamoci sui piani sottili. Almeno lì i tempi sono epocali e i fallimenti sono crisi di crescita dell'anima.
CNN espulsa, se non è regime che è, tradizioni che in fondo invidiavamo agli americani in termini di diritti civili e libertà di stampa spazzate via dopo quelle torri che se non le avesse abbattute Bin Laden era un bel problema. Il Grande Sciocco legge discorsi in cui gli fanno citare la Bibbia, ma di Babele non ha sentito dire nulla, della punizione della urbis. Tutto questo lo pagheremo caro tutti, anzi, evidentemente stiamo già pagando conti vecchi, come diceva una mia amica, Karma significa che non la puoi fare franca. ma che succederà nell'isola?
I miei figli sono sani e gioiosi, un lusso di questi tempi, speriamo di potercelo permettere, penso alla loro sicurezza in termini infantili, vorrei denari e case che non ho, come se questo avesse un senso, come se la normalità allegra e caotica e piena di lavoro e quindi di incontri con belle persone bastasse a fermare questo malemoto.
Terzani diventa malgrais soi un controleader, un'icona d pace, fa affiorare un mondo che sta in piccole isole che si chiamano Terranuova (sic) Bracciolini o Mantova o mille posti; dà speranza vedere che dal mare affiorano pesciolini colorati, sono tanti ma poi? E un uomo che cerca solo di essere un uomo si ritrova pigiato negli stampi, da questo o da quello.
Alla Fallaci (nomen omen) non si risponda più, la si lasci arrotolarsi nella rabbia che chiama indignazione. Si tranquillizzi signora, che muoriamo anche noi, mica solo lei o il perfido Saladino: non è che pensa che il cancro sia un dispetto personale di Allah?
Ci si sente strani nell'isola stamani, tre ore prima dell'incontro con persone che vorrebbero aiutare gli altri e magari se stessi.
Una frase antica, l'hanno detta in tanti, Gramsci col diritto del carcere (ah ecco, gratta gratta si scopre che Ventodimare era comunista... un po' sì, ma solo un po'). Allora, la frase : " Il pessimismo della ragione, l'ottimismo della volontà".
Funziona solo se si crede e si vede un piano evolutivo che sta attraversando una delle periodiche circonvoluzioni, di quegli arretramenti che conosco così bene nei percorsi individuali. E' vero che alcune terapie non funzionano, e allora mi viene in mente quello che dice un mio lucido e amaro amico, il Cei: "mi consola pensare che sulla terra non ci sarà più l'uomo e resteranno i coleotteri, finalmente indisturbati".
Allora non può essere la Volontà solo mia, solo nostra, la volontà orizzontale, perché la frase non sia la testimonianza di un'ottusa ostinazione bisogna che serva digiunare con il Papa. Ma guarda se un pirata di mezza età si deve trovare sulla stessa barca di un Papa, e per di più accorgersi che è lui che rema.
Ci si sente strani nell'isola stamani. Sarà il malemoto che si avvicina.
Vento Di Mare
14-04-2014
Nelle civiltà che tramandavano la propria cultura solo attraverso una tradizione orale, i cosiddetti "popoli primitivi", il teatro nacque e si sviluppò come teatro sacro.
Il carattere di sacralità non si riferisce tanto al contenuto di ciò che viene rappresentato, ma al significato che alla parola "sacro" ha e ha avuto per l'uomo di ogni tempo: non un'idea collegata ad un Dio trascendente, non una semplice allegoria morale, ma il contatto con una "potenza" , con una superiorità sentita a volte come un "mysterium tremendum", come una "maiestas" che però è possibile incontrare nelle realtà "naturali". L'uomo prende coscienza del sacro come qualcosa di "altro" che si manifesta però in oggetti che fanno parte integrante del nostro mondo manifesto, come dice M.Eliade:
" la pietra sacra, l'albero sacro non sono adorati in quanto tali, lo sono invece proprio per il fatto che sono "ierofonie", perchè mostrano qualcosa che non è più né pietra né albero, ma il sacro".
Nel teatro delle origini c'è una identificazione quasi completa tra attore e personaggio e tale vissuto, una sorta di "partecipazione mistica" si estende anche allo spettatore. In questa partecipazione è sospesa ogni forma di razionalizzazione e di uso della mente concreta e questo favorisce la nascita di una comunione trascendente tra i partecipanti , cosa che è proprio la caratteristica fondamentale del sacro.
Tale sacralità la si ritrova anche nel teatro orientale, in civiltà che , come quella indiana, hanno trovato nell'arte uno dei veicoli più diretti per congiungersi alla divinità. Secondo la tradizione indiana, l'inventore del teatro fu addirittura un dio,Bharata, che portò agli uomini sulla Terra le rappresentazioni che aveva creato per gli dei celesti.
Il teatro occidentale, infine , ha le sue radici nella Grecia antica, in particolare nelle cerimonie dei Misteri che celebravano i riti di morte e di rinascita , dei cicli della vita. Spesso tali riti erano riservati ad una elite particolare, i cui componenti, proprio per aver partecipato in vita a tali rappresentazioni, avevano contatto con insegnamenti trascendenti che ne favorivano la crescita con coscienza. Si conosce poco di questi riti arcaici, ci sono giunte nei secoli solo alcune notizie sui Misteri Eleusini, Orfici e Dionisiaci. I Misteri Eleusini riguardano il culto di Demetra, la Grande madre e nella rievocazione del ratto ad opera di Plutone di sua figlia Kore (Proserpina); i Misteri orfici si rifacevano al mito di Orfeo che riusciva a innamorare tutti e a sottomettere le forze brute della natura grazie al canto e al suono della lira regalatagli da Apollo; i Misteri Dionisiaci, infine celebravano Dioniso, dio dell'ebbrezza dal cui culto nacque poi in seguito la Tragedia. (Il termine "tragedia" si riferisce infatti in origine a un tipo di canto intonato dal coro intorno all'altare del dio).Dalla cerimonia dialogata tra il dio Dioniso e il coro nascerà poi la rappresentazione teatrale che prenderà nel tempo le connotazioni che noi tutti conosciamo.
Quello che è importante sottolineare è la sorgente comune a tutte le forme dell'arte teatrale espresse nel tempo da varie civiltà: le rappresentazioni sacre.
Si potrebbe dire che Il teatro nasce dalla necessità di tradurre in segni concreti e leggibili il rapporto sentito tra l'umano e il divino, tra il profano e il sacro. E questa radice è così forte all'interno dell'inconscio collettivo e individuale da rendere possibile l'utilizzazione del teatro come un mezzo di intima comunicazione intra e interpersonale, in analogia con la sua prima funzione, quella di ponte tra l'umano e il divino.
Senza essere esperti o maestri nella specifica forma d'Arte, è possibile fare esperienza della rappresentazione teatrale come simbolo del contatto tra la persona e il mondo sottile, tra il visibile e l'invisibile , ricordando che nell'antica Grecia il "simbolo" era il mezzo di riconoscimento che si otteneva spezzando irregolarmente in due parti un oggetto, in modo che il possessore di una delle due parti potesse farsi riconoscere facendole combaciare: non possiamo immaginare così anche il rapporto tra il nostro Io personale e il nostro Sé transpersonale?