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Raccontare il viaggio

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30 lezioni dalla scrittura all’immagine
di Andrea Bocconi e Guido Bosticco

Editore: Touring club italiano
Pagine: 192

Perché raccontare un viaggio?
Per dare un senso a ciò che abbiamo visto, riviverlo a distanza, trovare ispirazione per nuove avventure. E soprattutto per il piacere di condividerlo con gli altri su riviste, giornali, blog o social network

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Estratto

Andrea Bocconi e Guido Bosticco

La penna è un'antenna

Perché scrivere di viaggio
Per denaro o per amore?
La prima distinzione da fare è quella tra scrittura professionale e scrittura amatoriale, personale. Nel primo caso scriviamo per raccontare, a pagamento, di luoghi, situazioni, incontri speciali, a persone che per qualche motivo diffi cilmente potrebbero raggiungere quei luoghi, quelle persone, quegli eventi, quella situazione che sta accadendo proprio ora. Siamo ad Atene in piazza Sintagma e scriviamo per un giornale della Grecia prima di un referendum importante: parleremo di emozioni per raccontare un momento che è già storia e accade proprio ora. Vogliamo far vivere ai lettori quello che sta succedendo, portarli nello spazio dove siamo, annullando le distanze, una sorta di telecronaca sottotitolata in cui l'io narrante scompare dal racconto, che è quello che importa.
Non a caso, a meno che non si tratti di una fi rma prestigiosa, non si sceglierà la prima persona. È una prestazione professionale, con regole ben precise di tempi e spazi, la lunghezza del pezzo e il termine di consegna non si contrattano. Ma anche tra i professionisti bisogna distinguere: qualcuno viaggia per avere una storia da scrivere, altri scrivono per poter viaggiare di nuovo. Quando arrivano i diritti d'autore li tradurranno in biglietti aerei, in fi nanziamenti per un nuovo viaggio.
E allora se scriviamo per passione cosa cerchiamo?
La penna è bacchetta di rabdomante, intercetta acque sotterranee, è antenna che riceve segnali, è bacchetta magica che crea fi nzioni a partire da realtà, fi nzioni che a loro volta diventano reali.
Scrivere di viaggio è viaggiare due volte, la seconda volta lasciando che dai depositi di memorie, impressioni e riflessioni venga fuori qualcosa di nuovo, astratto come è la parola eppure portatore di realtà.
È il piacere di condividere ciò che ci sembra significativo senza impelagarsi in discorsi da salotto, pieni di 'bello', 'interessante', magari con annessa proiezione di qualche centinaia di foto.
È il piacere di rivivere il viaggio, fissandolo per sempre nella memoria.
In questo modo l'esperienza diventa due volte reale.
È il piacere di dare un senso a ciò che abbiamo vissuto, riordinarlo secondo un indice che ce lo spiega e ne svela significati che non avevamo forse colto mentre eravamo lì. La penna diventa una sorta di cane da tartufo, la guidiamo e ci guida alla ricerca di qualcosa. O la tastiera che ci fa trovare impreviste armonie, improvvisando come su un pianoforte.
È il piacere di una nuova avventura. La penna ci porterà per strade che devono essere almeno in parte sconosciute e questo accade anche se abbiamo precise istruzioni: scrivere della via delle colline metallifere, da Poggibonsi a Follonica, 5000 battute, consegna tra 15 giorni. La via è quella, ma esistono centinaia di modi di percorrerla e vedremo cose infinitamente diverse da chi la fa tutti i giorni e anche da noi stessi, ogni volta che ci ritorniamo.
È il piacere della presenza mentale: il paradosso è che raccontare il 'lì e allora' ci fa vivere l'esperienza del 'qui e ora', quell'unità fra mente, corpo, spazio e tempo che è il fine di tante pratiche meditative.
È il piacere di ispirare qualcuno a fare lo stesso viaggio, o di ricevere un commento di qualche viaggiatore che ci dice: era proprio così, lo riconosco.
Un cammino nel magnifico Casentino, poi raccontato, ha portato altri su quei sentieri, tanto famosi da secoli quanto poco battuti.
È il piacere di riconoscersi nell'esperienza degli altri. Ho viaggiato in Patagonia portando con me Sepulveda e Chatwin. Ottimi compagni di viaggio cartacei, magari migliori di alcuni in carne e ossa. E recentemente ho fatto amicizia con Ibn Battuta, viaggiatore instancabile del tredicesimo secolo.
È il piacere di raccontare, utilizzando il più semplice e sfruttato degli strumenti espressivi, la parola, il più immateriale, quello che maneggiamo da più tempo.
È il piacere di scrivere di ciò che amiamo.

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